Policoro, paziente positivo al pronto soccorso: chiuso per sanificazione
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Luigia Ierace
05 Aprile 2021
MATERA - «Procura di Trapani conferma: sono stata l’unica giornalista sotto intercettazione, pur non essendo tra gli indagati. Per ben sei mesi hanno avuto accesso al mio lavoro tra Libia, Mediterraneo, Etiopia, Eritrea. Ci sono le trascrizione con la mia avvocata Alessandra Ballerini, con altri avvocati su cui anche discutevamo di informazioni sensibili su fonti, ci sono le mie fonti, fonti collezionate in anni di lavoro sul campo, i colleghi con cui parlo, la mia vita privata...». In queste parole Nancy Porsia, 39 anni, di Matera, giornalista freelance e consulente di ricerca specializzata in Medio Oriente e Nord Africa, racconta alla Gazzetta tutto il suo dramma. I riflettori si sono accesi su di lei dopo che, con altri cronisti (Nello Scavo, Sergio Scandurra, Francesca Mannocchi, Carla De Pasquale, Fausto Biloslavo), è stata intercettata dalla Procura di Trapani.
«Avevo forti sospetti ma non ne avevo contezza - dice la giornalista -. Quando sei una battitrice libera sono cose che metti in conto, ma non devono succedere. Sono in aperta violazione dei nostri diritti in uno stato garantista. Ed è in aperta violazione al diritto di cronaca e tutela delle fonti». A prendere posizione sulle intercettazioni dei cronisti impegnati a documentare l’immigrazione tra Italia e Libia, oltre all’Ordine nazionale dei giornalisti e alla Fnsi, anche l’Ordine regionale dei Giornalisti e l’Associazione della Stampa di Basilicata, che chiedono di «fare piena luce su questa vicenda e sollecitano spiegazioni su come e perché sia stato possibile violare il segreto professionale dei cronisti e effettuare trascrizioni delle conversazioni di persone, non sottoposte a indagini, impegnate a svolgere un’opera costituzionalmente tutelata».
Nancy Porsia da tre anni vive a Matera, nella terra di origine dove è ritornata dopo le inchieste da Siria, Libano, Turchia, Libia, Iraq e Tunisia. «Matera è una delle mie case. Ho un bimbo e vivo qui dal 2018. Tre mesi prima di tornare in Italia, vivevo in Tunisia, ma dalla fine del 2016 sono entrata nella black list che non mi consente di tornare più in Libia. Anche i miei amici sono andati via, tutti rifugiati». Il suo sogno è tornare «quando sarà possibile e con le dovute precauzioni. Mio figlio è italo-libico. Lo devo a lui - ripete -. È per lui che ho fatto e continuo a fare queste scelte con suo padre». Tanta rabbia e paura. «Non per me, ma per quelli a cui tengo e per le mie fonti. Stavo facendo un’inchiesta, mi hanno scaraventato fuori, hanno fatto di tutto per sotterrarla. Non mi fermo, ho la testa dura».
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