«Èuno scandalo, signora mia». Ci siamo: l’estate ci affibbia la giaculatoria consueta della conversazione con comodo di moralismo e di piglio rigorista sotto spudorati ombrelloni dalle premiate ditte e terrazze affollate di nuovi dirigenti. Che sarebbe il generone senza lo scandalo stagionale, quello che fa prorompere in estatici «Hai saputo? Hai sentito? Hai letto “on-line”?». Delle attricette, delle ballerine, dei maneggioni, dei guardaspalle, delle miss, degli sporcaccioni, dei divi di cartone, dei vip, dei ricatti sessuali. Il tutto allestito dai nuovi linguaggi informatici.
Segue un rassegnato «Così va il mondo, ragioniere», un sospiroso «È ora di finirla!» con la variante escatologica «dove andremo a finire?» e un ringhioso «Io lo sapevo che quando vincono le sinistre, avvocato mio...». Oggi, in realtà, poco motivato.
Sotto ombrelloni con altre scritte di altre bibite e su altre terrazze affollate di altri dirigenti di altri poteri forti, altre chiacchiere altamente istruttive. Il catalogo è questo: «Ma si sapeva, lo sapevano tutti» malizioso e codardo. Infatti lo «sapevano» tutti, sempre gli altri, mai noi. «Prima o poi doveva succedere», infimo e inutile; «Nello spettacolo è sempre successo da quando mondo è mondo», pigro e invidioso, insieme. E si arriva al terribile e implacabile «Sono loro che si offrono, loro, quelle lì! Un povero disgraziato che dovrebbe fare?».
E nessuno che proponga: «Tenere le mani a posto e farsi una doccia fredda, imbecille». Inevitabile come l’afa e il ghiacciolo, lo scandalo stagionale. Combattendo l’afa con una granita (al limone), sono andato a consultare il dizionario etimologico (Zanichelli) alla voce «scandalo» e ne ho tratto istruttivi piaceri (della mente) e informazioni curiose. La parola è viva nel latino tardo «scandalum’ e significa impedimento, ma discende dal greco ‘skandalon» che significa, precisamente, «Pietra di inciampo, insidia».
Una pietra che aziona il lessico biblico. Curioso questo inciampo, questo impedimento. Pensandoci, la tradizione colta e popolare pullula di pietre che vengono lanciate addosso alle adultere, salvo in casi di salvifici incontri, di macigni che varrebbe, piuttosto la pena di attaccarsi al gargarozzo invece di arrecare scandalo (appunto), di pietre mancanti all’inferno per lastricare le sue affannate strade e sostituite da buone intenzioni, buone e inutili.
Su una di queste pietre si infrangono carriere di divi economici, mediatici, imprenditoriali e arrancanti ambizioni di ragazzine incoscienti. ma intorno a questi scogli si dipana e sguazza il chiacchiericcio moralistico e salottiero di un intero Paese,
Per cui sotto certi ombrelloni e in certe terrazze ci si avventa famelici sul mondo dello spettacolo raccontato come una specie di sentina putrida abitata da affaristi sconci, mercanti senza scrupoli, guitti dediti al più sfrenato uso festoso dei genitali. Sotto altri ombrelloni e in altre terrazze si pratica il belluino esercizio di descrivere il mondo delle ragazze in carriera artistica come un gineceo di avide sacerdotesse del divismo dedite solo a denudarsi sulle scrivanie, a smaneggiare autisti e segretari, a braccare funzionari inermi e innocenti e pensosi presentatori.
Quando le parole sono pietre. Queste si, pietre dello scandalo di una sottocultura che non è capace di equilibrio, di correttezza, di saggia ponderatezza voluttuosa solo di praticare la libidine piccolo borghese di ammassare tutte le erbe della cronaca spicciola in un unico, confuso sfascio. Come se certe faccende non fossero endemicamente diffuse a piagare non solo gli gli ambienti dello spettacolo o i pozzi della nuova informazione, ma qualsiasi assembramento professionale, come se malizia, corruzione, voto di scambio, baratto di alcove con fogli paga non fossero l’altra faccia di tutte le monete.
Dietro certi accanimenti rabbiosi fino alla voluttà, sotto tutti gli ombrelloni c’è un piacere sottile e sinistro che aziona chiacchiere e moralismi straccioni: quello di disarcionare l’eroe, di abbattere il divo, di screditare il minuscolo mito contemporaneo a cui un perverso sistema della comunicazione ha accreditato fortuna, bellezza, denaro, successo e facili amori. Si attiva, così un meccanismo inconscio di invidia collettiva che, ogni tanto va fatto esplodere.
E, così, su di una legittima azione della magistratura che, per ora, è solo investigativa, si innesta lo scandalismo e la grancassa. È lo stesso perverso sistema che, periodicamente, ha bisogno di liberare dei posti per ricominciare a mentire e a creare nuove tristi e avvilenti mitologie dietro le quali far correre le ragazzine e ragazzini che brandiscono miliardi di telefonini, salvo, poi, a insultarli e buttarli sul lastrico della vergogna pubblica. Prima li adescano, poi li lapidano.
Mi accorgo che lastrico e lapidare sono parole che hanno a che fare con le pietre. Guarda l’importanza dello studio etimologico, anche d’estate. Quante cose insegna. Anche a tenersi lontano dalle pietre dello scandalo.