Domenica 07 Settembre 2025 | 07:02

I «botti», vero simbolo della stupidità umana

 
Michele Mirabella

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Michele Mirabella

Regali sì, botti no per le feste dei pet

Basta con i deficienti che si divertono con quei boati che massacrano, oltre le nostre orecchie, migliaia di animali

Domenica 29 Dicembre 2024, 12:19

Fu Beniamino Franklin ad avvertire che «Il tempo è denaro». Lo sentivo dire dai grandi quando, bambino, trascuravo i compiti e il bighellonare innocente mi sembrava un eccellente modo per «ammazzare» il tempo. Allora ignoravo che, se si ammazza il tempo, non si può non «ferire» l’eternità. Gli è che non avevo letto Thoreau, l’economista americano che lo aveva scritto. Intendiamoci: neanche adesso lo consulto tutti i giorni, tuttavia la citazione non mi sfugge grazie al repertorio di piccola saggezza del vecchio calendario. Dove ho prelevato anche la massima di Franklin. E mi sono detto che i due avevano sbagliato citazione. Dall’economista mi sarei aspettato che sentenziasse che il tempo aumenta il denaro, se prestato o ben investito e, dallo scienziato, l’amara constatazione su tempo ed eternità. Pazienza! Come dice il poeta: « Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante tu ne possa sognare nella tua filosofia.» È l’Amleto di Shakespeare che avverte.

E molti pensieri ritrovo nel calendario, anzi, dovrei dire almanacco. Oggi esiste un calendario moderno che reca, con pertinenze occasionali frasi e citazioni famose o inedite, ma provocanti, che prescindono dalla data cui sono incastonale. Preferisco il pio e instancabile Frate Indovino che si ostina santamente a pronunciare sentenze o proverbi, ammonimenti e avvertenze per l’orto e il giardinaggio, ricette per il minestrone o le frittate, effemeridi e previsioni delle piogge, leziose stampe delle scene madri delle opere liriche. Non borbotta se lo affianco al, come dire, discinto, nudo in posa ammiccante, l’armoniosa e suadente anatomia. Forse borbotta il Pio che sempre di opera di Dio si tratta.

Comunque, amo i calendari. Da bambino li guardavo incantato e non solo quelli illustrati da vedute di plaghe lontane o impossibili: Svizzere nevose e prataiole, incantevoli baie di sirene e merluzzi argentati, orridi meravigliosi di altitudini ossigenate. Io guardavo con avidità anche l’umile repertorio di giorni e santi compilato di righe rosse e nere con al piede la pudica pubblicità del digestivo delle fabbriche premiate. Il tempo, in quell’icona contabile, mi sembrava regolato da mano umana e previdente che eccedeva l’intenzione computistica del tipografo per dedicarsi all’agenda dell’immancabile fluire delle stagioni.

Confesso di appendere al muro della mia biblioteca un calendario con belle donne bonariamente ammiccanti e sommariamente vestite. Nessuna reticenza contegnosa m’indurrà a mentire. Mi piacciono, mi mettono allegria con quella neutralità della bellezza finta e smaltata: donne lontane e impossibili come le valli delle Svizzere almanaccanti d’un tempo, donne che non pretendono d’essere corteggiate o sedotte, ma, con l’affabilità del loro silenzio di carta, chiedono solo d’essere ammirate, prive come sono di realtà. Se fossero ritratti di donne conosciute non mi piacerebbero, preferisco le stilizzazioni artificiali che non mi fanno sentire, se non innocentemente, voyeur. Panorami docili allo sguardo malinconicamente svagato che dilata il pudore privatissimo della paura per il tempo che passa in un’onda di fantasia quasi adolescenziale. E anche quest’anno ho fatto provvista del calendario di donne anonime e immaginarie. Ovviamente mi tengo alla larga dal repertorio delle signorine note o famose. Come dicevo, mi metterebbero in imbarazzo, quelle non sono nude, sono discinte o svestite. Oscene.

Insieme al calendario ho comprato il riassunto dei fatti dell’anno 2024 per una specie di foga compilatoria delle opere e dei giorni e quasi per esorcizzare la smemoratezza che prende quando gli anni cominciano a soverchiare la chiara verbalizzazione del poco tempo trascorso dei giovanissimi. E ho rivissuto in un battibaleno dodici mesi sfuggiti precipitosamente alle nostre dita malinconiche e rapaci. Il repertorio è corredato di fotografie e, dunque, s’affaccia un panorama di volti e figure che inquieta con la petulanza del riaffiorare alla nostra mente delle cose dimenticate. La quiete dolcemente sconsolata non riesce a riepilogare il recentissimo ieri dell’anno che si chiude per via dell’orrore dei fuochi pirotecnici. Fossero solo fuochi, sarebbe bello lo spettacolo, ma il devastante problema è attivato dalla folle stupidità dei «botti», da quella masnada di deficienti che si divertono ad accenderli quei boati insopportabili che massacrano, oltre le nostre orecchie, migliaia di animali, di cani, di gatti, di uccelli. Solo dei minushabentes (cretini) posson pensare che un anno che arriva sia contento dalla micidiale raffica di petardi e veri e propri ordigni da guerra e stupidità così rumorosa. Altro che festa popolare, questa è stupida barbarie che contagia i ragazzini. E non basta a tacitare questa pazzia vergognosa dei «botti» neanche il pensiero dei boati sterminatori delle guerre in corso che non festeggiano nulla se non la stupidità umana. Sussurro e confido: Buon 2025.

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