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Appello alla politica: rileggete Guareschi e non tralasciate la poesia

Appello alla politica: rileggete Guareschi e non tralasciate la poesia

 
Michele Mirabella

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Michele Mirabella

Michele Mirabella

La saga di Peppone e Don Camillo è una di quella favole belle e reali, verissime, all'interno di «mondo piccolo» ma impareggiabile

Domenica 23 Aprile 2023, 13:33

Il capitolare delle ideologie che ha spodestato i partiti della guida sul tessuto sociale ha scambiato la loro funzione di intercettare sensibilità culturali e aspettative antropologiche con aggiornamenti egoisti dei comportamenti e dell’agire dei singoli soggetti protagonisti della vita democratica. Per fronteggiare il nuovo che avanza, perso di vista l’orizzonte ideologico, svanite la cultura politica caratterizzante l’identità di orientamento, si tira avanti con strategie occasionali e apparentamenti azzardati e opportunistici.

Per dirla con il linguaggio dei nuovi soggetti, appunto, «un vero casino». Sarà bene familiarizzare con il «vero casino» perché pare che, per ora, ce lo dobbiamo tenere.

Suggerisco di rileggere l’opera di Giovanni Guareschi. O di leggerlo, se i giovani non lo hanno letto. In alternativa, se hanno poco tempo, o non sanno più leggere nulla che non sia in un telefonino, suggerisco di vedere i film tratti dalla saga di Don Camillo e Peppone. L’esperienza merita la comunità vera: potrebbero riunirsi in una sala, non importa se parrocchiale o sindacale e seguire, in ordine, i film tratti dai romanzi dello scrittore Guareschi, le storie scaturite dalla sua fantasia di giornalista, le favole belle e reali, verissime del «mondo piccolo» dell’onesto Guareschi.

Scoprirebbero l’Italia per bene del dopoguerra, la buona fede di Italiane e di Italiani alle prese con l’immane fatica della ricostruzione postbellica. L’Italia di Don Camillo e del sindaco Peppone che era stata quasi rottamata. Era vergognosamente inaccettabile il solo pensare che si potesse rottamare una nazione intera, ma era ripugnante che si potesse solo usare il verbo «rottamare». Poi fu fatto, purtroppo, con odiosa supponenza e insopportabile ignoranza. Le conseguenze le stiamo lamentando.

Sfido i democratici di oggi, o quel che ne resta, a discutere sui personaggi Don Camillo, prete e Peppone, comunista, sui saggi cattolici popolari e sui comunisti dai volti umani e dalle volontà coraggiose. Personaggi, si, pirandellianamente, sempre alla ricerca di un autore. Ebbero Guareschi. Oggi si faccia avanti qualcuno in grado di rianimare quella commedia umana di impareggiabile poesia. E dove v’è poesia, spesso vi è anche buona politica. Si potrà anche fare un dibattito, (ma sì!) sull’insegnamento della democrazia per mezzo della letteratura popolare. Aggiungo «popolare» per fare il verso al solito genietto della cellula o della sacrestia. Nel cineclub della «Rinascita», (propongo di battezzarlo così), quello dove, molti decenni or sono, si emarginava il compagno Fantozzi perché poco propenso al fanatismo cinefilo, sinistrorso, sussiegoso e invaghito dei capolavori trasformati in «cagate pazzesche» dal fanatismo noiosissimo dei «compagni», si potrà riflettere sulla politica di oggi. E di domani.

Ejzenstejn sarebbe d’accordo. Certi errori si pagano con un contrappasso, fatale in politica, quello per analogia. Chi con alterigia e spocchia ignorante ferisce, finisce, anelante, nell’emarginazione della fossa che ha scavato con le sue mani e con la sua politica totalmente autoreferenziale. Non si fanno i partiti di Tizio o Caio. Per ricchi o maneggioni che siano. Si fanno i partiti e si strutturano per il popolo, per i cittadini perché siano territorio aperto di discussione «dei» cittadini.
«Contrordine, compagni, contrordine, amici»! (come sfotteva Guareschi). La politica cambia, deve cambiare, la vostra, la nostra politica. Gli «altri» facciano come credono: partiti azienda, aziende partito, partiti personali, piattaforme bislacche, social-network. E comitive di scapestrati renitenti al lavoro. Cancelliamo tutto questo: i personalismi e i partiti di qualcuno o di qualche network dal nostro orizzonte politico di cittadini che pensano. Si torni alla politica come espressione delle idee, e alla lotta per far prevalere quelle che reputiamo giuste, idee, di cui la prassi deve essere l’asseverazione e la realizzazione nell’amministrazione e nel governo del paese.

E se si tornasse a lasciarsi condurre dall’ideologia, sarebbe meglio. Altro che le ideuzze tipo «uno vale uno»! L’annaspare nel pragmatismo come il farsi di un realismo efficientistico, sguarnito di idee guida e di ideali forti, ha debilitato le democrazie. Se si aggiunge che il dibattito politico, l’ariosa libertà della dialettica, del confronto delle idee stanno per essere completamente sostituiti dall’implacabile indifferenza apparentemente neutrale dell’informatica, il gioco è fatto. Il gioco di spopolare il villaggio umano e reale per metastatizzare il villaggio globale come distorsione dei rapporti umani.

E Peppone e Don Camillo questo erano: villaggio umano, non globale. Questa epica popolare racconta di un paese in riva al grande fiume. E si racconta della sua gente: della sua storia e delle sue storie. Cito una scena, indimenticabile, tra le tante di questa bellissima saga letteraria: quella in cui il sindaco comunista e il parroco irriducibile cattolico si trovano ad unirsi nella pietà del saluto al giovane di sinistra morto in un tumulto politico. E suonano insieme le campane. Quella dei compagni era un po’ stonata. Meno male che la soccorre la campana del prete. Dopodomani festeggiamo anche questo avvenimento storico.

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