LECCE - Dimessa, l’altro ieri, dal reparto di Chirurgia pediatrica del «Vito Fazzi» di Lecce e affidata ai servizi sociali. Pare sia stata allontanata dalla famiglia e affidata a una comunità, ma il riserbo è alto su una vicenda che ha scosso le coscienze. Tutto ha avuto inizio lunedì scorso con l’arrivo, al pronto soccorso del Dea di Lecce, di un papà con una bimba di otto anni che accusava dolori al ventre. Originari del Mali, si è subito evidenziata la difficoltà di comprendere cosa fosse accaduto alla bimba in quanto il padre non padroneggia bene l’italiano. In qualche modo ha detto che la bambina era caduta mentre giocava sul balcone, ma la dottoressa che l’ha visitata ha avuto dubbi sulla versione e ha chiesto la consulenza di un ginecologo e di un chirurgo pediatrico. Dai controlli successivi è stata appurata la mutilazione ai genitali, tant’è che il chirurgo pediatrico ha deciso di mettere qualche punto superficiale, ma il primo sospetto di eventuale violenza sessuale pare non sia confermato.
Una vicenda tutta da chiarire, ma rimane il punto fermo dell’infibulazione (pratica vietata in Italia dove il codice penale prevede una condanna da 4 a 12 anni di carcere). Insomma un reato si è certamente consumato, ossia la mutilazione dei genitali, anche se il dolore accusato dalla bambina non pare essere legato a questa brutale pratica in quanto, pare, che l’infibulazione sia stata fatta da diverso tempo. In ogni caso l’ospedale, nell’immediatezza degli accertamenti, ha subito avvertito le forze dell’ordine del caso e la macchina della giustizia si è messa in moto. Indagini sono in corso per accertare tempi e modi della mutilazione, ma intanto la Procura per i minorenni ha messo la bambina al sicuro in una struttura protetta. Rischiano sia il padre che la madre (genitori di altri due bambini).
Purtroppo questa pratica tribale dolorosa e pericolosa, a cui vengono sottoposte le bambine già prima dei dieci anni, secondo Amref Health Africa (operativa in 35 Paesi a Sud del Sahara, con 21 uffici dislocati nel continente africano, in Usa, Canada ed Europa) provoca la morte di una bambina ogni 12 minuti a causa delle mutilazioni genitali femminili, una pratica Save The Children ha denunciato che più di 200 milioni di ragazze, nel mondo, hanno subito questa pratica violenta con la complicità delle donne. E nel 2020 ha pubblicato la storia di Hido, una somala di 50 anni, che ha deciso di abbandonare questa usanza. Sul sito dell’organizzazione umanitaria è riportata la sua drammatica testimonianza: «Tutto ciò che ho fatto è orribilmente sbagliato. Ogni notte prego per essere perdonata. Non ricordo quante ragazze e donne ho operato, ma almeno una cinquantina sì. Consideravo la circoncisione un passo importante nella vita di una ragazza, era il mio unico lavoro». Ora è una volontaria che, casa per casa, sensibilizza le donne affinché non accettino questa dolorosa mortificazione, ma per una Hido ci sono tante altre che ancora pensano sia giusti mortificare il corpo delle figlie.
















