Lecce - Lui 37 anni, lei 45. A gennaio si conoscono e si innamorano. Dove? Già, perché è il luogo a dare rarità e delicatezza alla storia. Una vicenda umana che vede protagonisti due detenuti di Taranto del carcere leccese «Borgo San Nicola».
L’uomo sta scontando una pena definitiva per una serie di furti e lei è in attesa del processo d’appello per una vicenda di spaccio di droga nella quale è rimasta coinvolta. Sette mesi fa, le «presentazioni». Che avvengono urlando i propri nomi dalle rispettive celle delle palazzine del carcere leccese, come raccontato dai giornali on line.
Da qui, lettere tra i due. Una dopo l’altra. E poi richieste alla direzione del carcere di potersi incontrare, anche solo attraverso una videochiamata. Richieste tutte puntualmente respinte. Qui un ruolo fondamentale, in una storia in cui l’amore va inevitabilmente a scontrarsi con leggi e regolamenti, lo gioca la giovane avvocatessa Giulia Giaccari, difensore della coppia.
«Non pensavo che questa vicenda – premette un po’ sorpresa – adescasse tanto interesse. Per quanto riguarda le richieste di incontro per i miei assistiti, l’ordinamento è chiaro sul punto grazie alla legge numero 35 del 26 luglio 1975 e il Dpr del 30 giugno 2000 numero 230. È vero che i detenuti possono avere colloqui, oltre che coi propri avvocati, solo con conviventi, coniugi, figli. Ma…». C’è sempre un ma. «L’ordinamento – precisa Giacciari subito dopo – parla anche di terze persone, che abbiano fondati motivi per interfacciarsi con il detenuto. Il loro non è forse un fondato motivo? Ok, si sono conosciuti solo dopo essere entrati in carcere ma non credo che il loro rapporto abbia per questo meno valore di altri». L’avvocatessa non sembra arrendersi dopo le istanze rigettate, manifestando un’ostinazione che sembra andare ben oltre il proprio ruolo professionale.
«Ho avuto da sempre passione per l’ordinamento penitenziario. C’è un aspetto umano – conferma – che mi ha portato a sposare questa causa. Premetto che siamo di fronte a detenuti non pericolosi, visto che parliamo di persone che nella vita hanno commesso degli errori. Lui in carcere lavora all’interno della cucina. Tuttavia, anche solo per organizzare una videochiamata – spiega Giaccari, tutt’altro che in guerra con il carcere leccese – sarebbero necessari un collegamento controllato e presenze costanti. E tra l’altro l’episodio costituirebbe un precedente. Su questo punto la vicedirettrice di Borgo San Nicola, che conosce bene la vicenda, mi ha posto un problema reale: l’assenza di organico nel carcere di Lecce, aggiungendo che per quest’estate non ci sarà nessuna videochiamata fra i miei due assistiti. Credo – conclude l’avvocatessa leccese – che la carenza di personale, la conseguente difficoltà di concedere colloqui come in questo caso o come accaduto durante il Covid, il riconoscimento del diritto agli affetti e alla sessualità dei detenuti, siano tutti argomenti sui quali è necessario confrontarsi al più presto in Italia, non solo a Lecce».