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Covid, danni a lungo termine: «Un paziente su 10 costretto di nuovo al ricovero»

 
FLAVIO CAMPANELLA

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FLAVIO CAMPANELLA

Covid Puglia, occupazione terapia intensiva scende al 28% (+4% su media nazionale)

Fra i malati già in terapia intensiva, 9 su 10 restano col fiato corto

Martedì 01 Marzo 2022, 09:25

Il numero dei contagiati è in calo da sei settimane consecutive (secondo l’ultima rilevazione della Asl, il tasso di incidenza settimanale nel Barese è passato da 740,3 a 613,6 casi per 100mila abitanti; 7.549 infetti da 9.107), con una diminuzione ulteriore rispetto al periodo precedente del 17%. La riduzione ha determinato di riflesso una flessione dei ricoveri in area medica (20% attualmente in Puglia) e soprattutto in terapia intensiva (6%, al di sotto della soglia da zona bianca del 10%). Ma, a parte il dato relativo ai decessi (che è sempre l’ultimo a decrescere: in regione ci sono stati 426 morti per Covid a febbraio, in media più di 15 al giorno), c’è un altro aspetto con il quale il sistema sanitario deve e dovrà fare i conti prossimamente, anche nell’ipotesi che e il Sars-CoV-2 diventi endemico senza l’insorgere (speriamo) di nuovi ceppi più pericolosi: la post acuzie, cioè quello che abbiamo imparato a chiamare long Covid. Uno studio barese su pazienti che hanno contratto la malattia con sintomi di insufficienza respiratoria ha dimostrato che nove pazienti su dieci residenti in provincia dopo circa tre mesi presentavano un quadro radiologico polmonare compromesso. «Il long Covid è un fenomeno ancora da studiare - afferma Franco Mastroianni, medico internista e presidente regionale della Fadoi (la federazione delle associazioni dei dirigenti ospedalieri internisti) -. La ricerca non ha ancora compreso le ragioni della persistenza dei sintomi che caratterizzano il long Covid. Due sono le ipotesi al momento sul campo: una è legata al virus stesso che potrebbe persistere dopo l’infezione acuta in una serie di organi “serbatoio” come l’intestino, il fegato o il cervello; l’altra è legata alla risposta immunitaria indotta dall’infezione iniziale che potrebbe generare anticorpi e reazioni immunologiche. Tutto questo potrebbe essere la genesi dei più di 100 sintomi osservati».

Studiare è l’unico modo per comprendere. L’equipe di Medicina interna del Miulli, che insiste nella Covid unit (diretta da Mastroianni) insieme con Endocrinologia e Pneumologia, dopo aver gestito soggetti affetti dal virus in un ambito multidisciplinare (costituito da infettivologi, pneumologi, cardiologi, geriatri e altri), ha condotto una serie di indagini sui pazienti guariti visitati presso gli ambulatori long Covid di Fisiopatologia Respiratoria (responsabili Luigi Pinto e Pietro Schino). «In Covid Unit - spiega Mastroianni - sono stati ricoverati da marzo 2020, inizio della epidemia, 1.238 pazienti (età media 70 anni), la maggioranza maschi (754 maschi, 60,9%): 1060 (età media 71 anni, 85,6% di uomini) sono stati ricoverati in reparti non intensivi, mentre 178 (14,4%) sono transitati in terapia intensiva. In questo caso l’età media è stata di 69 anni, con una platea di uomini del 65,7%. Al follow-up (nell’arco di 16 mesi) sono stati valutati 922 soggetti (in 66, il 7,2%, sono deceduti, mediamente a 80 anni con prevalenza delle donne, altri 250 vivono in altre regioni). Analizzando - continua Mastroianni - solo i dati dei pazienti residenti nell’area metropolitana di Bari, in cui il Miulli è riferimento, sono stati esaminati 780 pazienti: di questi nel frattempo 30 sono deceduti (4.3%) e l’11.2% è stato ri-ospedalizzato almeno una volta. I due terzi delle ri-ammissioni sono risultati correlati al Covid: infezioni, polmoniti e malattie cardiovascolari sono le cause più rappresentate».

Andando nello specifico, l’ambulatorio per pazienti post Covid ha esaminato approfonditamente i soggetti con problemi respiratori. Si tratta di pazienti che hanno contratto la polmonite con insufficienza respiratoria (richiedendo supporto con ossigeno, Cpap, ventilazione meccanica non invasiva o anche invasiva con intubazione oro-tracheale). Dopo circa 3 mesi (dato medio) su 82 pazienti studiati, solo l’8.5% presentava un quadro radiologico polmonare normale. «Il 91,5% - conferma Mastroianni - presentava anomalie radiologiche (per gli esperti: Ground glass opacity 42%, ispessimento dei setti 95%, strie fibrotiche 97%, consolidamenti polmonari 20%, bronchiectasie da trazione 30%, ingrandimento linfonodi 45% - n.d.r.). Nel 26% dei pazienti, con maggiore prevalenza in soggetti che durante la degenza avevano effettuato ventilazione meccanica e che di base presentavano un maggior numero di comorbilità, è emersa una ridotta tollerabilità all’esercizio fisico (valutata mediante il walking test di 6 minuti - ndr) con una desaturazione inferiore al 90%. Questi risultati - conclude Mastroianni - evidenziano come in una coorte di pazienti sia reale l’ipotesi di impegno dell’interstizio per evoluzione in fibrosi degli esiti polmonari, con insufficienza respiratoria latente e ridotta tolleranza all'esercizio fisico. Si capisce dunque come astenia e facile affaticabilità, sintomi del long covid, rappresentano, certo insieme ad altri, una vera e propria sindrome con la quale dovremo fare i conti nel prossimo futuro».

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