BARI - Il prof. Giovanni Ferri, toscano, ordinario di Economia Politica alla LUMSA di Roma e già direttore del dipartimento di Economia e Finanza dell’Università di Bari («Per 14 anni. Mi considero barese di adozione, lo scriva, lo scriva»), risponde a La Gazzetta del Mezzogiorno in una giornata in cui il rublo vale meno di un centesimo di euro, la Borsa di Mosca è chiusa e beni rifugio come l’oro sono ai massimi. «È inevitabile che ci siano queste conseguenze - spiega l’economista -. Soprattutto nei primi giorni di un conflitto, l’effetto di accresciuta incertezza attanaglia tutti gli investitoti e i mercati tendono a reagire, forse in maniera eccessiva. In realtà, nessuno sa come andrà a finire, né il conflitto né le sanzioni. Pare sia stata approvata l’esclusione da Swift (la piattaforma per le transazioni di tutto il mondo; ndr) per le banche russe, pare però che non sia per tutte. E c’è chi dice che anche quelle escluse potranno arrivare all’obiettivo attraverso triangolazioni con Paesi terzi. Insomma, l’unica certezza è che c’è tanta incertezza».
Però l’incertezza, in economia, è un fatto “solido”. Per Coldiretti il prezzo medio del gasolio per la pesca è raddoppiato (+90%). Le compagnie di assicurazioni – lamenta Francesco Casillo sulle pagine del nostro giornale – ha aumentato di 20 volte il premio per il rischio guerra dei carichi di grano da Russia e Ucraina.
«Purtroppo piove sul bagnato: questa incertezza e l’aumento dei costi di produzione, si innestano su quei rincari che già erano avvenuti nella fase post pandemica o, meglio, post-lockdown. La ripresa delle attività nel 2021 (+6,5% del Pil), è avvenuta con una pressione dei prezzi, soprattutto in certi settori. Pensiamo all’Edilizia. Seppure per una buona intenzione, come l’efficientamento energetico, il bonus 110%, con cui tante famiglie sono state incentivate a fare lavori, ha generato una pressione sui prezzi. Al contempo, durante il lockdown c’era stato il crollo della domanda di idrocarburi e c’erano stati meno investimenti sull’estrazione. Quindi, essendoci meno capacità produttive e un rimbalzo della domanda molto forte, hanno iniziato ad aumentare i prezzi (l’inflazione al 4,8% che abbiamo visto a gennaio non si vedeva dal 1996). L’Italia rischia di essere un po’ fuori linea anche perché l’economia è stata drogata con provvedimenti fortemente espansivi e se questi cozzano con la disponibilità della filiera a produrre, salgono i prezzi. Ecco, la guerra si innesta su tutto ciò».
E, nell’incertezza, quali effetti prevede e in quali settori?
«Su certi beni che vengono importati, come grano e materie prime, gli idrocarburi, il gas, ci sarà un aumento dei prezzi ma, al tempo stesso, ci sarà una sostituzione. Andremo a comprarli altrove. Dovrebbe arrivare il gas dagli Usa, anche l’Algeria aumenterà i flussi, si aumenterà l’estrazione in Italia. Si parla di eventuale ricorso alle centrali a carbone. Il danno per l’apparato produttivo italiano è molto forte per alcuni settori (come il calzaturiero), molto dipendenti dal mercato russo; un po’ meno per l’agroalimentare, perché l’export c’è ma non così grosso e può essere diretto altrove. Noi economisti diciamo che c’è sempre un prezzo al quale si riesce a vendere. Poi lei è barese, il commercio lo avete nel sangue».