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Perché l’Italia rischia di perdere la grande occasione del Pnrr

 
Oscar Iarussi

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Oscar Iarussi

Perché l’Italia rischia di perdere la grande occasione del Pnrr

Ritardi nei progetti, contraddizioni nelle procedure amministrative e informatiche, mancanza di personale qualificato, modalità difformi fra Stato ed enti locali... Sono soltanto alcune delle problematiche che stanno investendo il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza

Lunedì 18 Settembre 2023, 17:30

Ritardi nei progetti, contraddizioni nelle procedure amministrative e informatiche, mancanza di personale qualificato, modalità difformi fra Stato ed enti locali… Sono soltanto alcune delle problematiche che stanno investendo il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, il famoso PNRR, acronimo di volta in volta salvifico o quasi «diabolico».

Il piano prevede ingenti risorse europee (191 miliardi di euro, più i 30 miliardi del fondo complementare governativo), il 40 per cento delle quali riservate al Sud, e la necessità di mettere in cantiere le relative opere entro il 2026. Le «missioni» dettate dal PNRR sono sei: digitalizzazione e cultura, transizione ecologica, infrastrutture per la mobilità sostenibile, istruzione e ricerca, coesione dei territori, salute. Quattro gli ambiti di scenario per le riforme richieste: pubblica amministrazione, giustizia, semplificazione, competitività.

Insomma, il PNRR è un’ambiziosa opportunità di trasformazione del Paese, di certo la più importante dai tempi del piano Marshall varato nel 1947 dagli Stati Uniti d’America in favore della ricostruzione europea all’indomani della Seconda guerra mondiale. Dalla pandemia di Covid in avanti, hanno contribuito a determinare tale quadro i governi Conte, Draghi e quindi Meloni, la quale ha affidato la partita all’esperta guida del pugliese Raffaele Fitto, ministro per gli Affari europei, le Politiche di coesione e il PNRR.

Fitto è impegnato da settimane nell’ardua trattativa con l’Ue sulla rimodulazione e la flessibilità di taluni obiettivi. Sostanzialmente, la richiesta di Bruxelles è che i fondi consegnati via via all’Italia vengano spesi con tempistiche certe, mentre in tema di finanza pubblica oggi 11 aprile approda in Consiglio dei Ministri la scrittura del Documento di economia e finanza (Def), con le stime sulla crescita e l’indebitamento, nonché l’orizzonte macroeconomico fino al 2026.

Il giurista Sabino Cassese ha lanciato l’allarme PNRR: «L’abbondanza di risorse destinate al piano di ripresa si scontra con la povertà di capacità realizzative dello Stato» («Corriere della Sera», 8 aprile). Aggiungiamo un altro timore, non meno radicale: il PNRR non si è trasformato finora in una straordinaria e appassionata occasione di dibattito pubblico sul futuro dell’Italia e sulla nostra relazione con l’Europa. Anzi, fin dall’inizio il tema è stato in qualche modo «sequestrato» dai tecnici, come annotò l’economista Gianfranco Viesti.

Vero è che si tratta di questioni economiche di non facile argomento per i non addetti ai lavori, ma a essere in ballo sono l’identità del Paese, il domani dei nostri figli, le scelte che riguardano appunto la… Next Generation Eu, come è denominato lo strumento finanziario principe concepito dalla Commissione europea (ci perdonerà l’onorevole Rampelli che vorrebbe multare i forestierismi nella pubblica amministrazione).

Il PNRR è un piano politico tout court (ops) ben più delle schermaglie parlamentari di ogni giorno, eppure se ne occupano poco sia le opposizioni (attendiamo alla prova la neosegretaria del Pd, Elly Schlein) sia le associazioni datoriali, sia le università sia le istituzioni territoriali.

Una qualche eccezione viene dalla Puglia in virtù dei ripetuti SOS del presidente ANCI e sindaco di Bari, Antonio Decaro, e grazie alla consapevolezza della Confindustria e dei sindacati regionali, parimenti impegnati contro le derive della «autonomia differenziata» che potrebbe togliere al Mezzogiorno parte di quanto il PNRR potrebbe - speriamo - infine offrire.

Certo, non depongono bene il diffuso disincanto e la distanza crescente dell’opinione pubblica italiana dall’europeismo, nonché certe ironie soprattutto della stampa di destra sui casi di sprechi del PNRR, per carità sempre possibili, ma la cui vigilanza spetterebbe oggi al governo di centrodestra…

È come se avessimo già rinunciato e sotto sotto ci dicessimo: «Non ce la faremo, ma chi ci crede al PNRR». Beh, sarebbe un errore, l’ennesimo di un Paese in declino.

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