Straordinari scrittori come Borges e Calvino, grandi architetti del valore di Piano e Koolhaas, fotografi delle forme urbane quali Ghirri e Basilico, ce l’hanno fatto capire: una città coincide con la visione che ne abbiamo. Non v’è alternativa: senza una visione, la più virtuosa delle città resta un agglomerato di quartieri, di servizi, di attività produttive o ricreative etc. Bari è uscita dalla Seconda guerra mondiale devastata dalle vicende belliche, sebbene monumentalizzata dagli interventi del fascismo: Fiera del Levante, edifici pubblici sul Lungomare, Università. E nei decenni successivi, vieppiù dalla nascita delle Regioni nel 1970, ha costituito il centro amministrativo pugliese e il riferimento commerciale per un largo entroterra. Nel mentre la città veniva gonfiata di cemento dalla «edilcrazia» di cui scrisse Vittore Fiore, eppur sempre in proporzioni accettabili, non caotiche. Il suo fascino s’incrina quando le botteghe del commercio entrano in crisi e la globalizzazione, negli anni ‘90, impone caratteristiche competitive sul «mercato» delle identità territoriali.
Da allora parecchio è stato realizzato, a cominciare dal piano Urban con il risanamento di Bari Vecchia, e poi il recupero dell’ex Gasometro e della Fibronit, la nuova Stazione e le piste ciclabili, fino alle riqualificazioni finanziate dal «Patto per Bari» o grazie alla Città Metropolitana, fra cui, in itinere, San Cataldo, il lungomare di Bari Vecchia, l’ex manifattura tabacchi. Molto si continua o ci si prepara a fare per le infrastrutture urbane, come il progetto Fuksas dell’area ferroviaria, e per il tessuto lavorativo. Si fa largo una propensione verso il Terziario avanzato e il Turismo di recente rinvigorito, nonostante la pausa del Covid, da un aeroporto e un porto assai funzionali. La «Bari di Lolita Lobosco», che piaccia o meno la fiction con Luisa Ranieri, è oggettivamente affascinante. Nondimeno, la città continua a svuotarsi di giovani che s’immatricolano nelle università del nord talora ignari delle nostre eccellenze (Fisica, Ingegneria, Medicina per tutte) e non attira più i fuori sede dal resto del sud come un tempo. D’altro canto, la «Bari by night» appare quasi «bipolare»: euforizzata dalla movida a Madonnella o in Piazza del Ferrarese, immalinconita dal vuoto o dalla insicurezza in altre aree del centro e nelle periferie, entrambe sempre più spesso teatro di violenze minime o immotivate, non per questo meno preoccupanti.
Bari ha bisogno di trasporti pubblici più efficienti, della pulizia e della manutenzione delle strade più puntuali, di maggiore valorizzazione del verde e delle aree costiere meritevolmente attrezzate da San Girolamo a Torre Quetta, mentre da ultimo Santo Spirito sta cambiando volto (sarà la nostalgia, però non tutto convince nella trasformazione dell’ex borgo di pescatori).
Sono sorti nuovi quartieri (via Mazzitelli) e ora tocca al lungomare verso la Fiera con il «bosco verticale» bis del prototipo milanese gratificato dalla «benedizione» di Stefano Boeri (un tocco di provincialismo non ci manca). È in vista il traguardo dell’ex caserma Rossani finalmente pronta ad accogliere il Polo bibliotecario regionale e l’Accademia di Belle Arti. Tuttavia non è ancora chiaro il destino dei famosi «contenitori culturali» restaurati senza porsi la questione di chi dovesse gestirli e di quali contenuti proporre / ospitare: Palestra ex Gil, Kursaal Santalucia, Margherita, Mercato del Pesce, lo stesso Piccinni un po’ sottotono. In proposito, andrebbero dedicate più risorse e attenzioni a due gioielli della Città Metropolitana, la Pinacoteca “Corrado Giaquinto” e il Museo Archeologico, che insieme al Petruzzelli formano un tridente culturale già in essere.
Qualche mese fa abbiamo lanciato su queste colonne un dibattito sul futuro di Bari, che la giunta Decaro ha messo in sicurezza quanto ad arrivo delle risorse dal Pnrr (circa 750 milioni di euro nei prossimi anni). Intervennero economisti e urbanisti, silenti i politici. Ci riproviamo con il focus che la Gazzetta e Confindustria organizzano oggi su «Bari e la città del futuro» (ex Palaposte, ore 17,30). È trascorso oltre un quarto di secolo da quando il sociologo Franco Cassano diagnosticò il Mal di Levante del capoluogo pugliese, una sindrome di ingenerosità e di rassegnazione, «di senso cinico più che di senso civico». Cassano non c’è più da due anni, molte cose sono mutate, ma resta valido l’invito contenuto in quell’aureo libro edito da Laterza: fare di Bari la capitale di qualcosa. Appunto, una visione della città... «Anche le città credono di essere opera della mente o del caso, ma né l’una né l’altro bastano a tener su le loro mura. D’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda» (Italo Calvino, Le città invisibili).