«Non si uccidono così anche le signore?», parafrasando il titolo del film di Sydney Pollack del 1969 con al posto dei cavalli le donne, do uno sguardo sulla produzione teatrale nel tempo e vado a pescare fra i testi che, a partire dai soliti Greci per arrivare ai nostri tempi, hanno spesso messo in scena degli sfiziosi ammazzamenti di donne: eroine segnate dal fato, adultere pentite, vergini folli, principesse, amanti sfortunate. La prima sarebbe, solito territorio classico, la povera Ifigenia che verrebbe sacrificata dal padre Agamennone per propiziare la partenza della flotta contro Troia. Il condizionale è perché il solito rompiscatole di Euripide, a contraddire la bella tradizione ammazzatoria, salva la fanciulla e la sostituisce sotto il coltello con una cerva. Ma fedele alla vulgata omicida è la molto risentita madre di Ifigenia, Clitemnestra, la quale fra Eschilo, Sofocle e
lo stesso Euripide, prima uccide Agamennone nel bagno con la complicità dell’amante Egisto, dopo viene a sua volta presa a colpi d’ascia dal redivivo figlio Oreste, a vendicare il padre con la sorella Elettra. Sangue e are per gli dei, nel Fato che avvolge il mito greco, anche se in quei teatri il tabù del sangue vieta di esibire le uccisioni: solo grida e “rumori fuori scena”, con racconti più o meno orripilanti. Intanto, altro mito altra corsa, Antigone (figlia di Edipo e del ben noto equivoco generazionale) viene sepolta viva, esempio sublime in eterno di fedeltà alla legge morale prima che a quella degli uomini e dei politici.
Se tutto fin qui è condizionato dalla fatale necessità (Ananke) che costringe, là in Grecia, dei, eroi, uomini e donne, ecco che finalmente in età più moderne e “civilizzate”, diciamo dal ‘500 in poi, si diventa più liberi di ammazzare e ammazzarsi in famiglia, o alla corte o nel castello o all’osteria, spinti da umanissimi sentimenti di desiderio, passione, odio, potere, rapina, vendetta. Tutto diventa più facile, armi alla mano, anche in teatro e ci si può divertire nell’apprezzare ammazzatine in prima visione, “dal vero”. Anche le donne, vivaddio, fanno la loro parte, spesso e volentieri facendosi ammazzare vuoi di lama (spada, coltello) vuoi di veleno (raro) o di strangolamento (rarissimo). Gli Elisabettiani in prima linea, ovvio, ma proprio Shakespeare si limita (suicidi ed esecuzioni a parte) alla povera Desdemona, strozzata per amore-gelosia dal suo Otello, istigato da un “onesto Jago”. Ben altro, quanto a infilzamenti, offre il repertorio inglese di quel periodo glorioso: citerò un famoso testo di John Ford, Peccato che sia una sgualdrina del 1627. Testo censuratissimo, allora e dopo, a partire dal titolo (ci starebbe whore, cioè puttana) ma in specie perché l’amore fra Giovanni e Annabella è tra fratello e sorella (incinta), con matrimonio riparatore di lei con un altro, con Giovanni che pugnala Annabella, infilza il suo cuore alla lama e lo reca al marito, più ecatombe finale. Il tutto avviene in Italia (esattamente a Parma), nota agli inglesi come terra di intrighi, delitti, peccati! Anche fuori dell’Inghilterra elisabettiana non si scherza con l’amore, certo è pericoloso farlo per le donne.
Ma la gloria in musica e in sublime morte violenta la troviamo in grande nel repertorio dell’Operadell’800, italiana in primis ma non solo. Da musicisti e librettisti la “bella morte” impazza, quella delle donne compresa. Nella Zaira di Bellini la protagonista viene fatta fuori (spada) dallo sceicco Orsomano, ma è con Donizetti che numerose sono le morti femminili, sempre “per amore”: in Pia de’ Tolomei, la Pia soccombe per veleno in una fosca faida medievale, curiosamente in opere quali Rosmonda d’Inghilterra e Maria de’ Rudenz le protagoniste sono uccise (coltello) da donne amanti rivali. Nemmeno Verdi, a volte, si sottrae dal liquidare amanti, adultere, ecc.: nei Masnadieri Carlo fa fuori Amalia, nella Luisa Miller tocca a lei essere uccisa dal suo Rodolfo, così nella Forza del destino accade a Leonora da parte di Carlo. Per non parlare della solita Desdemona con Otello.
E vogliamo a parlare della Carmen di Bizet, e della brutta fine che fa la povera? Novecentesche sono alcune eroine operistiche morte ammazzate: la Francesca da Rimini di Zandonai è ovviamente uccisa dal Cianciotto, nella Elektra di Richard Stauss c’è la solita Clitemnestra sotto l’ascia di Oreste, nella Cena delle beffe di Giordano, dal drammone di Sem Benelli, il Neri fa fuori Ginevra per sbaglio.
Non reggo, ancora c’è Wozzeck espressionista di Alban Berg, dal dramma di Büchner di metà ‘800, che mezzo imbambolato accoltella la sua Maria. Un secolo, il ‘900, che si era aperto con la Figlia di Jorio di D’Annunzio: “la fiamma è bella, la fiamma è bella” grida la Mila di Codra mentre viene trascinata al rogo dai pastori abruzzesi arcaici. Ma stai zitta, brutta strega!
















