Vittorio Sgarbi è tornato a parlare di arte con la sua ultima pubblicazione, Il cielo più vicino. La montagna nell’arte, virando sulla dimensione mistica della montagna nell’arte. Il libro, dedicato ai suoi genitori, passa in rassegna alcuni celebri dipinti italiani e stranieri che hanno per protagonista lo scenario montano o in cui le montagne rappresentano lo sfondo simbolico del soggetto rappresentato: così ci appare la quattordicesima delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di S. Francesco della basilica superiore di Assisi con il miracolo della fonte in cui il Santo prega il cielo a mani congiunte affinché faccia scaturire una sorgente a cui il viandante assetato possa abbeverarsi. Montagne rocciose con alberelli stilizzati fanno da sfondo a indicare il rapporto privilegiato di Francesco con il Cielo e l’Altezza metafisica ma soprattutto con la Natura. Deus sive Natura, direbbe il filosofo Spinoza. E poi c’è Mantegna con la sua Orazione nell’orto: uno splendido Cristo che prega nell’orto degli ulivi aspettando il suo destino di morte con gli angeli che recano i simboli della Passione, tra cui la croce, mentre un avvoltoio è posato sul ramo di un albero come premonizione di morte. La montagna sullo sfondo è aspra, impietosa, scoscesa come il fato che lo attende.
La Vergine delle rocce di Leonardo da Vinci è una sacra conversazione con il piccolo Giovannino - il futuro Battista - accolto dalla mano elegante della Vergine mentre Gesù bambino e lo stupendo angelo sulla destra lo additano e lo benedicono; qui le rocce dello scenario rappresentano una specie di hortus conclusus in cui la Sacra rappresentazione ha luogo, a evidenziare il carattere mistico della montagna rocciosa come sede del Divino e dell’Imperscrutabile.
Ma è con Tiziano Vecellio che la montagna si anima di passione a tratti violenta come nella scena del Miracolo del marito geloso nel ciclo di affreschi dei Miracoli di S.Antonio alla Scuola del Santo a Padova: «Tiziano fotografa l’istante di un femminicidio» - sottolinea Sgarbi - e difatti di tentato femminicidio si tratta con il marito che pazzo di gelosia ha già inferto una pugnalata alla donna e sta per ucciderla ma rinsavisce grazie alla intercessione del Santo (sullo sfondo la scena del pentimento e del perdono). Qui la montagna sembra proteggere l’omicida, appare complice, contiene odio, violenza, tradotti in colore. La roccia nuda nasconde il delitto alla vista e rende la scena claustrofobica.
Caspar David Friedrich sembra essere il preferito di Sgarbi: il suo Viandante sul mare di nebbia è in copertina. Qui la montagna diventa protagonista, come nel Mattino sul Riesengebirge, un capolavoro di estasi mistica, un dipinto intero dedicato alla montagna la cui vetta è sovrastata da un crocifisso a cui due microscopiche figure umane tendono nello sforzo dell’ascesi. Il crocifisso attesta la profonda fede cristiana di Friedrich che nel celebre Viandante sul mare di nebbia dipinge il manifesto del Romanticismo europeo: l’uomo, visto di spalle, ha raggiunto la sommità e contempla il sublime della Natura. Il sublime attrae e spaventa proprio come nell’Infinito leopardiano: “e il naufragar m’è dolce in questo mare”.
Attraverso la montagna Sainte-Victoire di Cezanne con i suoi volumi geometrici e le sue macchie di colore e la follia di Van Gogh nella Montagna a Saint-Remy (dove il pittore fu ricoverato nella clinica locale per disturbi mentali) Sgarbi giunge a quel pittore italiano, Giovanni Segantini, divisionista, che nel suo Ritorno dal bosco del 1890 ha fissato l’idea della sacralità della montagna innevata: una donna torna faticosamente dal bosco trascinando una slitta carica di legna mentre tutt’attorno domina il luccichio della neve e un silenzio ovattato che «traduce l’idea di una montagna amica sullo sfondo ma non disponibile all’uomo» costretto a lottare per sopravvivere. Qui domina la magia del silenzio che è anche magia della solitudine dell’essere umano. Il Novecento è rappresentato in questa galleria d’arte da Ubaldo Oppi, uno degli esponenti di Novecento, il gruppo di sette pittori promosso da Margherita Sarfatti. La sua Ragazza cadorina si fa notare per la vivacità cromatica del suo costume tradizionale del Cadore e per l’eleganza della postura che sembra calamitare la montagna alle sue spalle. Infine Mario Sironi, il pittore “fascista”, con il suo Paesaggio con case in cui il profilo sinuoso della montagna per metà oscura è contraddetto dal rigore geometrico delle due case in primo piano, solitarie. Nella conclusione Vittorio Sgarbi dichiara: «Qui ha preso forma l’idea di un viaggio nella montagna attraverso sette secoli di pittura: la mia esperienza della realtà diventa esperienza spirituale, anche se il punto che cerco non si lascia possedere, anzi arretra».
















