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La morale di Kubrick: «Lascia stare la cera e lavora meglio sulle ali»

 
Anton Giulio Mancino

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Anton Giulio Mancino

La morale di Kubrick: «Lascia stare la cera e lavora meglio sulle ali»

Kubrick chiamava in causa chiaramente Griffith, per ovvie ragioni, quale emblema di un’idea titanica di cinema che, come nel mito di Icaro, sconta un prezzo fatale

Lunedì 03 Marzo 2025, 18:06

Il mito di Icaro secondo Stanley Kubrick andava inteso in maniera complente diversa. Nel 1997, quando ricevette il premio alla carriera intitolato alla memoria di David Wark Griffith, padre nobile del cinema americano con grandi e controversi capolavori come La nascita della nazione e Intolerance, non si recò di persona a riceverlo, come sua consuetudine, preferendo inviare un messaggio video nel quale chiamava in correità cinematografica espressamente l’amico Steven Spielberg: «Buona sera. Mi dispiace di non poter essere con voi questa sera per ricevere il D. W. Griffith Award che costituisce per me un grande onore, ma mi trovo a Londra dove sto girando Eyes Wide Shut con Tom Cruise e Nicole Kidman. Proprio in questo momento probabilmente mi troverò in macchina sulla strada per lo Studio. Cosa che, si dà il caso, mi rimanda ad una conversazione che ho avuto con Steven Spielberg, su quale fosse la cosa più difficile e rischiosa quando si dirige un film. E credo che Steven l’abbia riassunta come meglio non si potrebbe. Lui pensa che la cosa più difficile e impegnativa, quando si dirige un film, sia scendere dalla macchina. Sono sicuro che voi tutti conosciate la sensazione. Ma allo stesso tempo, chiunque abbia avuto il privilegio di dirigere un film sa anche che, sebbene possa essere un’esperienza simile a quella di scrivere Guerra e pace su un autoscontro in un parco di divertimenti, quando finalmente va in porto, non ci sono molte gioie nella vita che possano eguagliare questa sensazione. Penso che ci sia un’intrigante ironia intitolare a David Wark Griffith un riconoscimento all’attività di tutta una vita, perché la sua carriera costituisce una parabola sia esemplare che ammonitrice». 

Kubrick chiamava in causa chiaramente Griffith, per ovvie ragioni, quale emblema di un’idea titanica di cinema che, come nel mito di Icaro, sconta un prezzo fatale. 

«I suoi film migliori saranno sempre annoverati tra i più importanti mai realizzati, e alcuni di essi gli hanno fatto guadagnare una grande quantità di denaro. Egli ha enormemente contribuito a trasformare i film da novità per juke-box in una forma d’arte, e ha dato origine e formalizzato molta della sintassi cinematografica ormai data per scontata. È diventato una celebrità internazionale, e la sua influenza si è estesa a molti artisti di punta e uomini di governo dell’epoca. Ma Griffith era sempre pronto a prendere rischi tremendi nei suoi film e nelle questioni d’affari a volare troppo in alto. E alla fine, le ali della fortuna, per lui, come quelle di Icaro, hanno dimostrato di essere fatte di nient’altro che cera e piume. E come Icaro, quando è volato troppo vicino al sole, si sono sciolte, e l’uomo la cui fama aveva superato quella dei più illustri registi di oggi, ha trascorso gli ultimi diciassette anni della sua vita bandito dall’industria cinematografica che aveva creato. Ho paragonato la carriera di Griffith al mito di Icaro, però non sono mai stato certo se la morale della storia di Icaro dovesse essere, come generalmente si ritiene, “Non cercare di volare troppo alto”, o piuttosto “Lascia stare la cera e le piume e lavora meglio sulle ali”. Una cosa comunque è sicura: D. W Griffith ci ha lasciato un’eredità esemplare e affascinante, e il premio a lui dedicato è uno dei più grandi onori che un regista possa ricevere. Qualcosa per cui io, umilmente, vi ringrazio moltissimo».

Ecco spiegato il bisogno di “ammonire” la platea di gente di cinema capovolgendo la morale di Icaro: «Non cercare di volare troppo alto». Kubrick quella volta, l’ultima, preferì in un’allusiva circostanza ribadirne un’altra: la sua, la stessa dell’altro cineasta a lui caro, John Boorman, quindi del collega Spielberg. Ovvero la morale del cinema inteso come impresa totale e incessante, la “macchina” da cui è impensabile venire fuori. Una morale aggiornata: «Lascia stare la cera e le piume e lavora meglio sulle ali». 

Non è un caso che in Ready Player One Spielberg abbia poi commemorato il titanico creatore di 2001 soprattutto con il disadattamento di Shining. Anche Francois Truffaut, che per Spielberg aveva recitato in Incontri ravvicinati del terzo tipo, aveva già custodito le persone amate dirigendo La camera verde. Per chiudere il cerchio, Ready Player One sta a Spielberg come La camera verde a Truffaut, quindi Icaro, Griffith e la compagine sinistra e imperitura dell’Overlook Hotel a Kubrick.

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