di ANTONELLA INCISO
Per un soffio, per una manciata di voti. Solo nella notte tra martedì e mercoledì si è avuta la certezza che Filippo Bubbico sarebbe rimasto fuori dal Parlamento. Lui, uno dei saggi del presidente Giorgio Napolitano, il vice - ministro dei Governi Renzi e Gentiloni, il politico che in dissenso con il Pd aveva rinunciato ad ogni incarico abbandonando i dem per approdare a LeU, per un soffio non è tornato a Montecitorio. Nonostante la performance deludente del suo partito a livello nazionale ed il risultato mediocre a livello regionale (il 5,6 per cento) da solo Bubbico, candidato all’uninominale Melfi - Matera ed al proporzionale Camera, è riuscito ad incrementare la sua percentuale arrivando a quel 6,4 per cento che lo ha incoronato per il suo partito primo in Italia.
Lo sforzo, però, non è servito. Nonostante il migliore risultato ottenuto di Liberi e Uguali a livello nazionale l’ex vice ministro è rimasto senza scranno. Perché, tra l’altro, è stato tra i pochi big del partito a scegliere di non avere alcun «paracadute»: nessun altro collegio sicuro, nessuna candidatura altrove. Una sconfitta che pesa, dunque, anche se Filippo Bubbico, misurato e pacato come sempre, conferma di voler solo continuare a lavorare.
«Si tratta di un risultato importante, incoraggiante per questo continueremo a fare quello che facevamo prima - sottolinea - Quando si partecipa si lavora sempre per il massimo risultato, poi, una volta che il risultato arriva bisogna correggere gli errori». Aggiungendo, poi, sul boom grillino ed il crollo del Pd che «c’è una relazione speculare tra questi due aspetti. Non ci sarebbe una cosa senza l’altra. Bisogna che ciascuno faccia i conti con le proprie responsabilità e valuti il risultato elettorale, nei termini in cui è risultato capace di farlo». «Quando ci sono sconfitte e chi ha subito ha imparato la lezione e ha corretto, è accaduto che si è potuto riprendere - continua - Noi di LeU continueremo la nostra battaglia di radicamento nel territorio. C’è bisogno della cultura progressista, di una forza politica che sappia ridare speranza e fiducia ai lucani e agli italiani. Quello che faranno gli altri partiti lo vedremo, è ovvio che in politica ci possiamo mettere insieme quando si condividono programmi e si manifestano attività programmatiche uguali»
Bubbico, dunque, pensa al futuro anche se fuori del Parlamento dove invece torna l’altro lucano al Governo con Renzi e Gentiloni: Vito De Filippo eletto alla Camera in quota Pd. De Filippo sarà uno dei tredici parlamentari lucani. Con lui anche il senatore dem Salvatore Margiotta e per il Centrodestra due forzisti ed un leghista: il senatore Giuseppe Moles, coordinatore regionale del partito, l’onorevole Michele Casino, segretario provincia FI di Matera (eletto per pochissimi voti sul candidato della Lega, Antonio Cappiello) ed ancora il senatore della Lega, Pasquale Pepe. C’è, poi, il presidente del Potenza calcio, Salvatore Caiata, indicato dai grillini e poi espulso dal movimento per il suo coinvolgimento in un’inchiesta sul riciclaggio. «Io però non rinuncio alla mia elezione, perché dovrei? Ho fiducia affinché la cosa si possa ricomporre velocemente in modo che possa tornare all’interno del Movimento» conferma Caiata, sostenendo di non sapere ancora se andrà nel gruppo misto.
Infine, ad aggiungersi ancora la folta pattuglia del Movimento cinque stelle composta da ben sette parlamentari: i vincitori dei collegi uninominali Saverio De Bonis e Gianluca Rospi, i parlamentari uscenti Vito Petrocelli e Mirella Liuzzi e le new entry Luciano Cillis, Agnese Gallicchio ed Arnaldo Lomuti.
Questi i lucani eletti in Basilicata che siederanno in Parlamento. Ma ad occuparsi della regione e delle sue comunità ce ne sono altri due: il neo senatore Gianni Pittella e l’onorevole Roberto Speranza, entrambi «bocciati» in terra lucana ma ripescati altrove grazie alle candidature paracadute. In tutto, quindi, 15 rappresentanti.
Le politiche, però, per la «rossa» Basilicata sono state e restano uno tsunami. L’ondata grillina è stata tanto travolgente, con quel 44 per cento dei consensi, che oggi il Pd è ancora sotto choc. Tanto colpito che tutti i dirigenti scelgono la consegna del silenzio. D’altra parte, passare alla Camera dal 38, 58 del 2008 al 16,14 di oggi ed al Senato dal 38,51 al 17,25 consegna la dimensione della sconfitta ed il dramma della base dem che da tempo aveva lanciato l’allarme. Inascoltata.