Chi tace come i principali indagati foggiani tra titolari di aziende e proprietari terrieri finiti in carcere; chi risponde alle domande e respinge le accuse di aver ricevuto soldi per far sversare l’immondizia nei propri terreni o di aver contribuito al pagamento di una mazzetta da 5mila euro ad un dirigente dell’Arpa (agenzia regionale protezione ambientale); chi rimarca di non aver avuto alcun ruolo nel presunto traffico di rifiuti, per essersi limitato a svolgere lavoro amministrativo nella ditta chiave dell’inchiesta, la «Lufa service» di San Severo. Così gli interrogatori di 7 foggiani accusati a vario titolo di traffico di rifiuti e corruzione nell’inchiesta «In Daunia venenum» su su un presunto traffico di 100mila tonnellate di rifiuti provenienti dalla Campania e sversati illecitamente tra il 2010 e il 2014 nei terreni del Foggiano.
Il blitz dello scorso 7 giugno, coordinato dalla Direzione distrettuale antimafia di Bari e condotto dagli agenti del commissariato di Manfredonia e dai finanzieri del nucleo di polizia tributaria di Bari, ha portato al sequestro di beni per oltre 9 milioni di euro ed all’emissione di 19 ordinanze cautelari sull’asse Campania-Capitanata-Bari: 5 in carcere, 9 ai domiciliari, 2 divieti di dimora, 2 obblighi di dimora, 1 divieto di esercizio d’impresa. I provvedimenti cautelari li ha firmati il gip di Bari Annachiara Mastrorilli : gli interrogatori dei 7 foggiani si sono svolti, nella casa circondariale e in Tribunale, per rogatoria davanti al gip dauno Armando Dello Iacovo.
Scelta del silenzio per i tre foggiani rinchiusi nella casa circondariale dauna: Fabrizio Mundi, 36 anni, sanseverese, amministratore della «Lufa service» che gestiva un impianto di compostaggio dove i rifiuti provenienti dalla Campania avrebbero dovuto essere trattati e trasformati in compost; Remo Bonacera, 61 anni, sanseverese, amministratore della «Daunia 2009» e che avrebbe collaborato con Mundi nella gestione illecita dei rifiuti; e Giacinto Coniglio, 63 anni, manfredoniano, proprietario di terreni nell’agro sipontino, che sarebbe stato pagato dalla «Lufa» circa 70mila euro per mettere a disposizione i campi dove scaricare l’immondizia rimasta tale - dice l’accusa - perché non c’era stato alcun compostaggio. Mundi e Bonacera si dicono innocenti comunque, e l’avvocato Rosario De Cesare ha preannunciato ricorso al Tribunale dela libertà di Bari contro l’ordinanza cautelare del gip; come respinge le accuse Coniglio, difeso dagli avvocati Cristiano Romani e Patrizia Caobello che valuteranno se ricorrere a loro volta al «Tdl».
Un altro proprietario di terreni che sarebbe stato pagato oltre 54mila euro dalla «Lufa» per lo scarico dei rifiuti è Pio Ranieri Minischetti, 42 anni, imprenditore agricolo sanseverese posto ai domiciliari. «Il nostro assistito ha risposto alle domande del gip Dello Iacovo nell’interrogatorio svoltosi in Tribunale e respinto le accuse» dichiarano gli avvocati Giuseppe e Raffaele Casale: «Minischetti ha spiegato di gestire un’azienda biologica che per legge deve utilizzare il concime organico. Concime che viene prodotto dagli impianti di compostaggio, soggetti a controlli periodici e rigide certificazioni; il privato-acquirente» aggiungono i difensori «deve necessariamente fare affidamento sulle autorizzazioni rilasciate dalla pubblica amministrazione ed anche il locatario dei terreni su cui viene installato l’impianto di compostaggio non può sapere in alcun modo se l’azienda produttrice rispetta tutte le procedure». I legali hanno presentato ricorso al Tribunale della libertà per chiedere la revoca dei domiciliari per Minischetti «in quanto siamo convinti della fragilità e discutibilità degli elementi d’accusa nei confronti del nostro assistito».
Hanno risposto al gip anche le sorelle Antonella e Rita Speranteo , sanseveresi di 37 e 28 anni, alle quali il gip ha imposto il divieto di dimora: sono dipendenti amministrative della «Lufa service» che avrebbero avuto un ruolo - dice l’accusa - nel traffico di rifiuti, occupandosi di allegare documenti falsi ai rifiuti per dimostrare che tutto erano in regola. Le due sorelle, difese dall’avv. De Cesare, rispondenao in Tribunale al gip hanno detto che lavoravano in segreteria e non sapevano nulla di presunti traffici illeciti. Anche per loro la difesa ricorrerà al Tribunale della libertà.