di Mimmo Sammartino
VIGGIANO - La tensione è alta nella Val d'Agri, in provincia di Potenza, in seguito al rilevamento della contaminazione nel terreno e in un pozzetto di verifica nell’ambito dei controlli sul centro olio dell'Eni. Lo stop è imminente. C'è apprensione per le possibili ripercussioni sull'ambiente. E crescono contestualmente i timori degli oltre duemila lavoratori dell'indotto lucano i cui destini sono strettamente legati all'attività estrattiva. Si teme un nuovo ricorso alla cassa integrazione, come già è accaduto un anno fa, quando le estrazioni furono bloccate in seguito all’inchiesta sul petrolio della Procura della Repubblica di Potenza. Le «preoccupazioni» riguardano anche le inevitabili ripercussioni sulle royalty del petrolio e, di conseguenza, sul bilancio regionale.
Al momento, c'è meno apprensione invece per i lavoratori che operano alla raffineria Eni di Taranto (450 dipendenti diretti e circa duemila nell'indotto) dove, dalla Val d'Agri, arrivano mediamente 80 mila barili di greggio al giorno. La loro sorte lavorativa non dipendente, almeno in termini immediati, da quanto avviene al centro olio di Viggiano. Da un lato ci sono le scorte a garantire la prosecuzione dell'attività. Dall'altro alcuni impianti sono stati fermati per manutenzione. Per questo, a Taranto un eventuale stop del Cova, se non eccessivamente prolungato nel tempo, non è destinato a produrre effetti immediati sulla situazione occupazionale.
In ogni caso, la questione Val d’Agri resta una vicenda di rilevanza nazionale poiché dalla Basilicata arriva circa il 70 per cento del petrolio estratto in Italia e circa il 23 per cento del metano.
L’Eni ha frattanto annunciato «la chiusura temporanea» del centro oli di Viggiano e ha avviato le «procedure di fermo dell’impianto», pur ribadendo «di aver adempiuto a tutte le prescrizioni imposte dagli enti competenti che sono sempre stati tenuti informati sulle attività di intervento e di monitoraggio ambientale in corso». Una decisione assunta in conseguenza della delibera della giunta regionale della Basilicata - dopo un allarmato vertice tenuto nella Prefettura di Potenza - adottata la sera della vigilia di Pasqua. Provvedimento che, entro oggi, sarà notificato all'Eni.
Ieri il governatore lucano, Marcello Pittella, ha affermato che il Cova rimarrà fermo almeno per 90 giorni: «Abbiamo agito perché preoccupati per l’ambiente e la salute dei cittadini e agiremo in futuro con estremo rigore - ha affermato Pittella. - Abbiamo provveduto a ricontestualizzare le stesse prescrizioni iniziali, dal momento che si è verificata una propagazione della contaminazione. Questo ci ha messi nella condizione di dover assolutamente scongiurare che l’inquinamento arrivasse all’Agri e da lì anche oltre. Siamo intervenuti, tra l’altro, anche perchè Eni non ha provveduto, come da prescrizione, a svuotare il serbatoio ancora pieno. La nostra valutazione, dunque, ha fatto sì che il principio di precauzione e la preoccupazione per l'ambiente e per la salute passassero attraverso un atto molto forte come la sospensione». Pittella ha anche ricordato «l’impegno messo in campo nelle ultime settimane dagli uffici della Presidenza e del Dipartimento Ambiente e dall’Arpab, di concerto con i sindaci interessati e con la Provincia di Potenza».