di Massimiliano Scagliarini
BARI - Il primo segnale pubblico è stato il discorso che Michele Emiliano ha tenuto in Fiera del Levante, davanti a Matteo Renzi. Un messaggio che, dopo oltre sei mesi di lavoro sotterraneo, due settimane fa ha portato al placet da parte di Palazzo Chigi. Un via libera importante, perché segna l’avvio della nuova strategia di Acquedotto Pugliese, il progetto Acqua del Mezzogiorno: un’ipotesi di aggregazione che, partendo dalla società tra le Regioni meridionali per la gestione delle fonti di approvvigionamento idrico, potrebbe poi evolversi in una alleanza strategica tra i gestori del servizio pubblico. Ottenendo poi, come risultato accessorio, anche la proroga della concessione di Aqp che scade nel 2018.
Il progetto ha visto un incessante lavoro di tessitura da parte del numero uno di Acquedotto, Nicola De Sanctis. Ma per descriverlo non servono documenti riservati: bastano le parole di Emiliano. «Nell'interesse anche dell'intero Mezzogiorno d'Italia - disse in Fiera il presidente della Regione - intendiamo dare avvio e realizzare un percorso nel quale Aqp si trasformi in una holding industriale partecipata da quelle Regioni che intendano partecipare al progetto attraverso il conferimento delle rispettive partecipazioni azionarie nelle aziende regionali attive nell’acqua». «Un ampio progetto di aggregazione, prevalentemente delle regioni del Mezzogiorno d’Italia», lo definì Emiliano, che «permetta una forte sinergia di progettualità e di gestione dell’acqua pubblica con criteri di assoluta efficienza».
L’avvio ufficiale del progetto, annunciato a Bari durante il congresso nazionale dell’Anci, è appunto la costituzione (con Palazzo Chigi) della società che dovrà gestire le fonti di approvvigionamento, così da regolare meglio i rapporti economici di dare-avere (la Puglia prende acqua da Basilicata e Campania, la Calabria dalla Basilicata, il Lazio dalla Campania...). Sul punto ci sono accordi in fase avanzata tra Puglia, Basilicata e governo, ma le altre Regioni seguiranno e i tempi dovrebbero essere brevi: la nuova società dovrà subentrare all’Ente irrigazione e, essendo quasi tutte le dighe sul territorio lucano, è la Basilicata che dovrebbe averne la maggioranza. «All'interno della governance - annunciò a Bari Laura Cavallo, capo della segreteria tecnica del sottosegretario Claudio De Vincenti - ci sarà il governo, mentre nell'azionariato il ministero dell'Economia». A quel convegno, organizzato da Aqp, erano stati invitati tutti i presidenti delle Regioni del Sud, rappresentanti poi dai rispettivi assessori. Emiliano, in quella occasione, ribadì il suo interesse al «progetto strategico di aggregazione», lanciando un altro messaggio sibillino: «È una idea interessantissima, ma non voglio che sia solo della Puglia. Il governo non deve avere nessuna preoccupazione in tal senso. Può essere un progetto del governo per il Mezzogiorno. Io posso sparire dalla scena come ho fatto con il referendum».
Due settimane dopo, come sappiamo, Emiliano è sceso in campo per il «no» al referendum. Ma su Acqua del Mezzogiorno (è stata la Cavallo a pronunciare questo nome citando la sigla «Adm») il presidente pugliese ha lasciato campo libero ai tecnici. In primis appunto a De Sanctis, che dal suo arrivo a Bari si è impegnato ad elaborare un piano strategico in tal senso.
Ma bisogna fare i conti con la riforma Madia. Se verrà stabilito che le nuove norme sulle partecipate si applicano pure ad Aqp, oltre ad avere un blocco delle assunzioni ci sarà il probabile abbandono del progetto - pure ipotizzato - della multiutility. L’energia è infatti un servizio a mercato, che non può essere mescolato con l’acqua su cui, oltretutto, Acquedotto ha una concessione ope-legis in scadenza nel 2018. Sul tema della scadenza, prima Vendola e oggi Antonio Decaro, come presidente Anci, hanno ipotizzato di utilizzare il grimaldello dell’affidamento in-house per evitare una gara d’appalto e mantenere la gestione pubblica: ma questo implicherebbe il trasferimento della maggioranza di Aqp dalla Regione ai Comuni.
A Emiliano questa ipotesi, come noto, non piace. Come risolvere l’impasse? Offrendo appunto al governo l’«aggregazione strategica», intorno ad Aqp, dei gestori idrici meridionali. In caso di aggregazioni tra società di gestione, infatti, la legge prevede già la possibilità di allungare le concessioni in scadenza. Nel bacino idrografico meridionale, che arriva fino al Lazio e non include la Sicilia, ci sono circa 40 gestori dell’acqua molti dei quali «in economia» (vietati dalla legge): solo Puglia e Basilicata hanno il gestore unico. E nel settore idrico le dimensioni contano, così come conta il know-how.
Nel frattempo, De Sanctis ha lanciato un altro segnale della necessità di guardare in modo diverso al tema della concessione. Ha presentato all’Autorità idrica pugliese un piano di investimenti da 1,3 miliardi fino al 2022, ben sapendo che la concessione scade nel 2018. Trattandosi per metà di fondi pubblici, con il rischio di perderli, Aqp ha chiarito che comprimere il piano industriale entro il 2018 comportava il raddoppio delle tariffe idriche. Aip, cioè i Comuni, ha compreso il messaggio ed ha approvato il piano così com’è: è la prima breccia nel muro dell’affidamento del servizio.