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L’alpinista venuto dal mare
alla conquista dei «settemila»

 
L’alpinista venuto dal marealla conquista dei «settemila»

Lunedì 19 Settembre 2016, 10:13

di CARLO STRAGAPEDE
Un alpinista barese in cima al mondo. Sembra una contraddizione stridente, tra una città di mare e quella parola che evoca crepacci, pareti di roccia e temperature impossibili. Eppure Vito Partipilo, 50 anni, funzionario delle Ferrovie Bari Nord, lunedì 18 luglio è salito fino a quota 7mila 280 metri, quasi sulla cima del Muztagh Ata (7.546 sul livello del mare), montagna del Pamir cinese. Tecnica: scialpinismo.

Racconta: «Ho deciso di tornare indietro nel primo pomeriggio, quando ha cominciato a spirare un vento fortissimo, facendo scendere la temperatura a 19 gradi sotto zero. Ero arrivato a quota 7mila 280 e la vetta era davanti a me, anzi intravedevo un altro scialpinista, austriaco, che ci era già arrivato».
Una decisione sofferta ma inevitabile, quella di prendere la via del ritorno: «In vetta sarei giunto. Il problema è che rischiavo di non ritornare giù». Perché? «Il vento stava cancellando le tracce degli sci sulla neve e avrei rischiato di non ritrovare la strada». Del resto, pensare di trascorrere la notte a settemila metri è una sfida folle con la morte, gli addetti ai lavori lo sanno benissimo.

Un segnale di pericolo: «Mi sono reso conto della temperatura quando mi sono sfilato il guanto dalla mano destra e in una decina di secondi la mano nuda era diventata praticamente di cemento, perdendo la sensibilità». Quindi, lunedì 18 luglio, in cima al Pamir, mentre i concittadini baresi si stanno godendo il caldo e il mare dell’estate mediterranea, Partipilo decide di fare dietrofront. Distacca le pelli di foca dagli sci (servono per l’ascesa) e intraprende la discesa. Con addosso un patrimonio di fotografie ma soprattutto di sensazioni uniche, per il barese innamorato della roccia e dei ghiacciai, forse l’alpinista dell’Italia centromeridionale riuscito a salire più in alto in assoluto.

Apriamo una parentesi per conoscere il funzionario della pubblica amministrazione con il vizio delle vette. Appassionato di montagna da sempre, Vito Partipilo, fisico longilineo (statura 1,80) e asciutto, ha iniziato con l'escursionismo sugli Appennini e sulle Alpi. È poi passato all'alpinismo nelle sue varie forme, cioè alta quota, roccia e scialpinismo, quest’ultima la tecnica utilizzata al Muztagh Ata. «In realtà - racconta - ho cominciato piuttosto tardi, a 25 anni. Ma non improvvisando. Ho seguito vari corsi, ho viaggiato tra montagne e pareti d'Italia, Europa e altri continenti, con fatica e costi, ma con grandi soddisfazioni». Ha al suo attivo, nel corso degli anni, varie cime fino al settimo grado (Verdon, Apuane, Sassolungo, Tofane, Lavaredo, Badile), i principali quattromila delle Alpi (Bianco, Cervino e Rosa anche in sci) e varie discese scialpinistiche. Tre le spedizioni extraeuropee (Aconcagua sulle Ande argentine, Cho Oyu in Himalaya e infine il Muzthag Ata). Per tenersi in forma, fa il velista e il podista: infatti ha partecipato a 20 maratone.

La spedizione sul Muztagh Ata è costata all’alpinista barese circa 5mila euro, tra attrezzatura, viaggio e permesso. Partenza da Bari il 4 luglio. Incontro a Roma Fiumicino con il compagno di scalata, il lombardo Giovanni Paredi, da Lecco. Arrivo nella città di Kashgar (mille metri di altitudine), partenza in pullman per Subashi (3.600 metri). «Dopo due giorni di acclimatazione - continua la testimonianza dello scalatore 50enne - siamo partiti a piedi per il campo base, collocato a quota 4.400. Altri due giorni di riposo in tenda, in un paesaggio straordinario, con il rituale del pranzo condiviso con altri escursionisti provenienti da ogni parte del mondo e soprattutto il contatto viscerale con la natura incontaminata».

Vito Partipilo e Giovanni Paredi raggiungono dapprima il campo 1 a quota 5.400, poi il campo 2 a 6.200. Il meccanismo del passaggio da un livello all’altro è quello dell’«elastico»: si sale una prima volta, poi si scende al campo precedente per trascorrervi la notte, l’indomani si risale e si pernotta in alto, e così via. La mattina del 18 luglio, Partipilo comincia la salita mentre il compagno di avventura non riesce a tenere il suo ritmo e resta dietro. «Era una giornata bellissima. Il sole splendeva nel cielo azzurro. Io sono andato avanti, mi sentivo bene. Il problema - evidenzia lo scalatore barese - è che nel primo pomeriggio, a circa un’ora di cammino dalla vetta, si è levato un vento fortissimo che avrebbe cancellato le tracce dei miei sci, rendendomi il ritorno estremamente pericoloso. La zona è piena di crepacci, trappole invisibili a causa dello spesso strato di neve». Il suo mantra: «Il primo obiettivo di un alpinista non è conquistare la vetta ma portare a casa la pelle», si congeda il Messner nato in riva all’Adriatico.

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