TARANTO - Non finisce in archivio l'inchiesta avviata dalla Procura di Taranto contro chi gestisce lo stabilimento siderurgico Ilva dopo la cacciata della famiglia Riva, continuando - come certificato dalle relazioni depositate dai custodi giudiziari nominati dal giudice Patrizia Todisco e denunciato dal leader dei Verdi Angelo Bonelli, da associazioni ambientaliste e semplici cittadini - a inquinare l'aria, la terra e il mare di Taranto.
Il procuratore aggiunto Pietro Argentino e i sostituti Remo Epifani, Mariano Buccoliero, Raffaele Graziano e Giovanna Cannarile, titolari della pubblica accusa nel processo «Ambiente svenduto», lo scorso 7 aprile hanno chiesto l'archiviazione del fascicolo aperto - con le ipotesi di reato di getto pericoloso di cose e attività di gestione dei rifiuti non autorizzata - nei confronti di Enrico Bondi, commissario Ilva dal giugno del 2013 al giugno del 2014, Piero Gnudi, commissario dal 2014 a tutt'oggi, del ex direttore dello stabilimento Antonio Lupoli e dell'attuale direttore Ruggero Cola.
La Procura ritiene che per i quattro indagati valga l'esimente contenuta nel decreto salva-Ilva nel gennaio 2015, che prevede per i commissari straordinari del siderurgico e per i loro delegati una sorta di immunità penale durante l'adempimento delle prescrizioni del piano ambientale, il cui termine ultimo per l'attuazione è stato man mano spostato in avanti e che ora è fissato per il 30 giugno 2017.
Il giudice per le indagini preliminari Martino Rosati, però, è di tutt'altro avviso, tanto è vero che, come la «Gazzetta» è in grado di rivelare, non ha accolto la richiesta di archiviazione ed ha fissato una udienza in camera di consiglio per il prossimo 5 luglio, facendo notificare il relativo avviso non solo alla Procura e agli indagati ma anche al ministero dell'Ambiente e al Comune di Taranto, individuati quali parti lese dai reati contro l'incolumità pubblica per i quali si procede e specificando, in particolare nei riguardi del sindaco Ezio Stefàno, che egli è l’organo rappresentativo della comunità locale e l'autorità legittimata all'adozione di provvedimenti e urgenti al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica.
Il giudice Rosati non condivide la tesi dei pubblici ministeri, scrivendo che «il termine ultimo per l'attuazione del piano ambientale è stato fissato per il 30 giugno 2017 e che entro tale data il piano deve essere attuato per intero, in coerenza con quanto statuito dalla Corte Costituzionale proprio sul caso Ilva nel 2013»: ovvero che l'uso degli impianti dell'area a caldo, definiti fonte di malattie e morti per operai e cittadini, è consentito temporaneamente durante l'esecuzione dei lavori di messa a norma. Ciò premesso, per il giudice Rosati, l'esimente richiamata dalla Procura, o immunità che dir si voglia, vale per le condotte poste in essere in attuazione del piano e non invece quando ci si trova dinanzi all'inerzia nell'attuazione di quel piano, come emerge da esposti e denunce che hanno portato all'apertura dell'inchiesta. «Dalle relazioni dei custodi giudiziari dell'azienda, parrebbe - scrive il dottor Rosati - quanto meno allo stato delle indagini, che numerose prescrizioni contenute nell'Aia non siano state adempiute nei termine previsti dalla legge». Se così è, per il giudice Rosati ci sono gli estremi per contestare la mancata osservanza delle prescrizioni Aia, il getto pericoloso di cose e la gestione abusiva dei rifiuti (queste due ipotesi già ipotizzate dalla Procura) ma forse anche per l'omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro.
Ecco perché, dunque, l'inchiesta-bis sulle emissioni dell'Ilva non va in archivio e anzi promette colpi di scena, guardati con attenzione anche dalla famiglia Riva che spesso, e in più sedi, ha lamentato una disparità di trattamento.
«L'Ilva inquina ancora»

L'accusa aveva chiesto di applicare il decreto di Renzi che garantisce la non punibilità durante l'esecuzione del Piano ambientale
Sabato 28 Maggio 2016, 09:47