Alessandra Flavetta
ROMA E’ necessario mantenere la produzione dell’acciaio in Italia e in Europa, per impedire che aumenti ancora l’importazione di quello prodotto in maniera non rispettosa dell’ambiente da Russia e Cina. Per fare ciò bisognerebbe attuare ed implementare il Piano europeo per l’acciaio lanciato dall’ex Commissario Tajani nel 2013, affinché i fondi europei siano utilizzati per le riconversioni industriali, per proteggere i lavoratori del settore siderurgico e per creare strumenti di difesa commerciale dal dumping di Cina e Russia, i cui prezzi di produzione sono inferiori a quelli europei grazie agli aiuti di stato e a regole meno severe su protezione dell’ambiente e mercato del lavoro.
Con buona pace dell’Ue, che considera aiuti di Stato anche gli interventi di ambientalizzazione per l’Ilva di Taranto, è questo il messaggio che Luc Triangle, segretario generale aggiunto di IndustriAll Europe, in rappresentanza della Ces – la Confederazione dei sindacati europei – porta all’attenzione della Commissione Attività produttive della Camera dei deputati. L’audizione del sindacato europeo, che rappresenta 7 milioni di lavoratori dell’industria, si è svolta nell’ambito del parere alla Commissione europea sulla comunicazione relativa all’acciaio, per mantenere una occupazione sostenibile e la crescita in Europa.
Solo in Italia, dal 2008 si sono persi quasi 100mila posti di lavoro nell’industria siderurgica, che versa in una situazione difficile per la bassa domanda e per l’eccesso di capacità produttiva, ma i graduali segnali di ripresa dei settori che usano l’acciaio non sta portando ad una ripresa della produzione europea, perché si importa più acciaio extra Ue. «Se si riduce ancora la capacità produttiva del siderurgico europeo, rischiamo di perdere l’acciaio e sarà impossibile aumentare la quota industriale dal 15 al 20%, come prevede l’Europa entro il 2020», spiega Luc Triangle. La sovraccapacità produttiva della Cina, pari a 350 milioni di tonnellate d’acciaio, il doppio della capacità Ue, «sta destabilizzando il mercato e il numero senza precedenti di ricorsi antidumping – osserva – dimostra che opera sistematicamente pratiche sleali». Ecco perché IndustriAll Europe è contraria a concedere alla Cina lo status di economia di mercato. Il gigante asiatico «invece di ristrutturare la sua sovraccapacità, esporta acciaio a prezzi scontati, costringendo l’Europa – prosegue il sindacalista – a ristrutturare al posto loro, con le conseguenze occupazionali che vediamo».
Secondo Triangle, però, il siderurgico europeo ha già ristrutturato la sua produzione, in considerazione della minore quantità di acciaio oggi occorrente ad esempio per costruire un aereo, grazie a nuovi materiali come il carbonio, o all’uso delle nuove stampanti 3D nell’Industria 4.0, ma «anche per le energie alternative, ad esempio le pale eoliche, l’acciaio è ancora necessario». Se si continua ad importarlo, «il rischio sarà una eccessiva dipendenza dell’industria europea dalla Cina e dalla Russia, che imporranno il loro prezzo per l’acciaio e potrebbero arrivare a chiedere di trasferire le nostre produzioni metallurgiche nei loro Paesi».
Non chiede protezionismo il sindacato europeo, ma regole eque per permettere all’industria Ue di competere con Russia e Cina attraverso gli investimenti in ricerca, sviluppo ed innovazione, realizzando prodotti migliori e con processi più puliti, perché «la politica dell’austerity ha portato solo alla riduzione dei consumi». Sulla concorrenza europea, infatti, già pesano il costo maggiore dell’energia e il sistema Ets, per lo scambio di quote emissione di gas a effetto serra nell’Ue.«La compravendita dei certificati deve incentivare l’uso di tecnologie ecologiche, ma l’Europa ha già gli standard più alti nel mercato globale e se imponiamo troppi vincoli solo alle industrie europee, non siamo più competitivi, ecco perché nel riformare l’Ets – propone il segretario generale – le aziende che hanno investito nell’ambientalizzazione dovrebbero avere delle deroghe, perché hanno già fatto i compiti a casa e non possono essere penalizzate da ulteriori restrizioni».