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Referendum trivelle, il Pd
si asterrà. Emiliano: assurdo

 
Franco Giuliano

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Franco Giuliano

Trivelle, il referendum Proroghe e piano aree  la parola alla Consulta

Giovedì 17 Marzo 2016, 17:06

18 Marzo 2016, 20:59

di BEPI MARTELLOTTA

L’ultimo a saperlo è stato proprio lui, Michele Emiliano, governatore della Puglia e segretario del Pd nonché paladino della battaglia che mezza Italia sta conducendo contro le trivelle in Adriatico. Eppure sul sito dell’Agcom, l’Autorità garante delle comunicazioni che vigilerà sulla campagna referendaria, campeggia ormai da giorni quell’inequivocabile elenco sui favorevoli e i contrari al referendum per il sì all’abrogazione delle norme pro-trivelle. E il suo partito, il Pd, figura tra coloro che sono per l’astensione, in buona compagnia dell’Associazione «ottimisti e razionali» (sic), dei Circoli dell’ambiente e della cultura rurale» e dei non meglio precisati «Federalisti democratici europei».

Tra i afvorevoli, invece, figurano Italia dei Valori, Lega, Sel, L’Altra Europa con Tsipras, i Verdi e i Cinque Stelle, insieme a Legambiente, Greenpeace, la Cia, i Cobas etc. Il problema, appunto, è che mentre Emiliano, la Puglia intera e altre 8 Regioni si sbracciavano insieme ai «No triv» dinanzi alla Consulta per impugnare le leggi che favoriscono le ricerche petrolifere in mare, a Largo del Nazareno aveano deciso da tempo che no, non si può fare una battaglia contro le norme varate dal proprio leader e titolare del Governo, Matteo Renzi. E rieccoci, dunque, all’ennesimo braccio di ferro tra il leader «ribelle» dei democratici pugliesi, inascoltato e snobbato da Roma, e il titolare di Palazzo Chigi nonché padre-padrone del «nuovo» Pd, pronto ad utilizzare tutte le «moral suasion» possibili nei territori per far saltare il quorum ai gazebo del 17 aprile.

«Non mi risulta che il Pd abbia assunto nell’assemblea che si è svolta pochi giorni fa alcuna decisione su questo punto così importante e nevralgico per la politica energetica del Paese», esclamava in mattinata Emiliano, appena sfogliata la «Gazzetta» che ne dava notizia. «Credo che si tratti di un refuso burocratico, ma se non fosse così deve essere cambiato lo Statuto del Pd».

«Il Pd si astiene, dove e chi ha deciso? Spero non sia vero e chiedo al gruppo dirigente nazionale di rivedere questa posizione» gli fa eco, altrettanto sbigottito, Pietro Lacorazza, presidente del consiglio regionale lucano. Passano poche ore e arriva la doccia gelata. Anche questa volta, per Emiliano, non è una telefonata di qualche amico-nemico del «giglio magico» a dare la notizia, fosse pure per cortesia istituzionale, ma una frecciata del vendoliano Nicola Fratoianni: «Mi dispiace dover dare una brutta notizia all’amico Emiliano e anche a tanti esponenti della minoranza del Pd che esprimono stupore in queste ore, ma abbiamo appena finito la riunione della commissione parlamentare di Vigilanza Rai che doveva esaminare le richieste d’accesso alle tribune elettorali. E la brutta notizia è che il Pd ha annunciato la propria posizione di astensione al referendum».

Di più, ci permettiamo di aggiungere: non l’ha solo annunciata, l’ha notificata da giorni incaricando Lino Paganelli nel ruolo di rappresentante delle ragioni dell’astensione. «Ci deve essere un meccanismo nel quale la linea politica del partito viene stabilita da organismi che io non conosco - sbotta Emiliano, ancora incredulo - e questo non può essere. Quindi lo escludo nella maniera più assoluta. Una posizione del partito è necessaria, ma da quello che mi risulta non è stata ancora adottata». 

Le conferme, purtroppo per lui, arriveranno subito dopo dalla segreteria nazionale (ne riferiamo a parte). E, probabilmente, a nulla serviranno le tre cartelle con cui, in serata, il governatore sfoga tutta la sua rabbia. Già lo scorso agosto, ricorda, «il Governo non aveva interesse a effettuare l'incontro con le Regioni» e «fu solo tale decisione a indurre a malincuore molte regioni italiane governate dal Pd a richiedere il referendum». E ancora: «per cinque quesiti referendari il Governo ha dovuto ammettere di avere commesso un errore e nella legge di stabilità ha fatto marcia indietro dando ragione alle Regioni. Sul sesto, invece, non è riuscito a fare la stessa cosa» e si è dovuti andare prima in Cassazione e poi in Corte Costituzionale. I gazebo sono inutili e costosi?

«Per evitare i costi del referendum, il sistema c'era e consisteva nell'indirlo nella stessa data delle elezioni amministrative». Piuttosto, chiede Emiliano ai vertici del partito, perché quella posizione sull’astensione «improvvidamente anticipata»? Una posizione «strumentale, perché il vero scopo è impedire ad ogni costo il raggiungimento del  quorum». Lo sfogo prosegue su Twitter, dove Emiliano posta fulmini: «Io e Barack Obama siamo contro le trivellazioni petrolifere marine. Il Pd italiano che fa? Obama vieta le trivellazioni petrolifere nell’Atlantico. E noi in Italia dobbiamo fare un referendum!!!».


Le due anime del Pd, quella romana e quella dei territori, hanno disseppellito l’ascia di guerra. Lo conferma Elvira Tarsitano, presidente del partito pugliese: «A nome dell'assemblea regionale del 4 marzo, replicando alle notizie diffuse sull’argomento, ribadisco la nostra posizione unanime Anti-triv: su 300 componenti dell'assemblea vi furono solo 2 astenuti» (l’ex consigliere regionale Epifani e il parlamentare Massa). Per il Pd pugliese «la posizione astensionista del segretario nazionale è stata assunta in totale autonomia. Il Pd nazionale, infatti, non ha mai adottato alcuna decisione ufficiale in merito, utilizzando le procedure previste dallo Statuto, né l’argomento referendum è stato oggetto di discussione nella recente assemblea nazionale del partito». A Roma, intanto, preparano la controffensiva e sbuffano: «i soliti gufi...»

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