di DAVIDE GRITTANI
Il paragone è durissimo, quasi impietoso. Ma lui (finalmente, adesso!) sembra in grado di reggerne il peso. Quando ai funerali di Pier Paolo Pasolini, il suo grande amico di lettere e viaggi Alberto Moravia battendo i pugni sul leggìo disse a più riprese «abbiamo perso un poeta, e di poeti non ce ne sono tanti, ne nascono tre o quattro in un secolo», senza ambizioni interpretative intendeva dire. Stesso concetto dovrebbe essere applicato alla musica, poiché - specie nell'era dei Talent senza significato - di cantautori in Italia ne potrebbero nascere due o tre in mezzo secolo. E, questa la nostra umile certezza, Niccolò Fabi è un cantautore (finalmente, adesso!).
«Detta così fa un po' paura - dice lui - ma ho capito il senso, e lo accetto. Anzi ho capito la responsabilità che mi attribuisce, e adesso la sopporto molto meglio».
Romano, di una classe cantautorale davvero cresciuta bene (lui, Gazzè, Silvestri, Zampaglione etc), venuto fuori - ma come si può dire di venirne fuori del tutto, se poi si scrive un brano straordinario come Elementare proprio su quella vicenda - da un fatto privatissimo e immenso come la morte (a soli 22 mesi) della figlia Olivia (per tutti Lulù, da qui la Fondazione che raccoglie donazioni per aiutare soprattutto le popolazioni africane www.paroledilulu.it), Niccolò Fabi per una serie di circostanze rappresenta davvero un italiano atipico: quindi un italiano perfetto. Schivo, riservato, quasi sempre opportuno, mai infinocchiato dalla tv, con una serie impressionante di dischi azzeccati e soprattutto con un pubblico in costante aumento, Fabi sta attraversando forse - ma se così fosse, molto meritatamente - il momento migliore della sua carriera artistica. Tempo fa doveva ancora convincersene, ma adesso la maturazione pare davvero completa. Come quei frutti che la bottega ti vende ancora acerbi, che se sei un pignolo li riporti indietro chiedendo di immediatamente cambiarli... ma se sei lungimirante e sai aspettare il tempo giusto diventano buoni sotto i tuoi occhi. Crescono insieme a te.
Niccolò Fabi, lei è un cantautore! E, come i poeti, di cantautori ne nascono quattro o cinque in un secolo...
«Non che non ne fossi convinto anche prima, ma oggi ho le spalle un po’ più grandi e adatte ad assorbire meglio questa consapevolezza. Perché si tratta soprattutto di consapevolezza. Quando sei più giovane (il primo disco di Niccolò Fabi risale a 17 anni fa, il suo esordio nella musica con una tribute band addirittura a 30; ndr) tendi a fagocitare tutto con maggiore velocità e naturalmente con una buona dose di incoscienza, oggi invece le conferme che mi arrivano, soprattutto da me stesso, dicono che il percorso artistico e umano che ho condotto aveva un senso e che, all’interno di questo senso, adesso io mi sento perfettamente a mio agio. Ne sono consapevole... ».
Per lei un momento d’oro. Disco bellissimo, tour quasi “sold out” dappertutto. Davvero un momento magico, come si convive con uno stato di grazia così ampiamente meritato?
«E’ un momento di buona solidità artistica, lo ribadisco. Per cui, tutto quello che sta venendo, evidentemente è il frutto di scelte (anche scomode, basta leggere il testo di una canzone qualunque di Niccolò; ndr) che sapevano di buono. Un po’ me la godo, ma solo un po’. Chi mi conosce sa che non vivo di queste cose. E un po’ cerco di condividerlo con chi mi sta vicino, quindi con chi, esattamente come me, ha contribuito alla costruzione di un percorso che adesso pare giunto a una vera consapevolezza. Il disco? Ecco rappresenta me stesso come poche altre cose fatte in precedenza, il mio grado di mestizia ed anche la mia ricerca di energia. In questo disco, ma più estesamente in questo momento artistico e personale, godo di un bellissimo equilibrio. E tutto quello che faccio, direi che ne risente».
Abbiamo intervistato Niccolò Fabi, al momento forse il cantautore italiano più apprezzabile per qualità dei testi e ricerca musicale (basti pensare che al disco e al suo progetto artistico, da tempo ormai collaborano stabilmente due come Roberto Angelni e Pier Cortese), alla vigilia del concerto alle isole Tremiti, domani sera in occasione dell’inaugurazione della rassegna unplugged organizzata dal Parco nazionale del Gargano. E, durante l’intervista, inevitabilmente la conversazione è ricaduta su colui che, anche da assente, sembra reggere i fili di una comunità speranzosa e di una rassegna che - sempre di più - sta assumendo una identità. Lucio Dalla.
Il primo a chiamarla alle Tremiti fu naturalmente Lucio Dalla, Quando? E ricorda anche come, cioè in quale circostanza?
«Nel 2003, subito dopo l’uscita del disco La cura del tempo. Mi chiamò, lui non altri intermediari, ma io non feci in tempo a rispondergli... per cui mi lasciò, nella segreteria del telefono, un motivetto quasi fischiettatto. Era il suo modo di dirmi che quella canzone gli era piaciuta, e che avrebbe voluto che la facessi a Tremiti. Come poi fu... » Ricorda qual era la canzone? «E’ non è, gli era piaciuta molto. Anche il senso del testo. E la facemmo nella piazzetta di San Domino, proprio quell’anno».
Tutti ricordano di Lucio Dalla una generosità fuori dal Comune, lei invece? Cosa le ha lasciato una persona così grande? «Appunto, grande. Ma di una grandezza che sta al di sopra della grandezza comune. Grande perché non lo dava mai a vedere, grande perché non credeva di esserlo. Generoso come pochissime altre nel mio mondo, umile e riflessivo che metteva soggezione. E poi artista a tutto tondo, veramente onnivoro. Ascoltava di tutto, tonnellate di musica. Curioso come non mai, voleva sapere di nuovi dischi e nuovi progetti. Un grande appunto, ma mi faccia ribadire il concetto... di una grandezza fuori dalla comune portata. Fuori dal senso stesso del termine».
Una grandezza a cui si “candida” anche uno come Fabi?
«Macché, io faccio musica al meglio delle mie possibilità. Quelle di Lucio sono prerogative importanti, non ci si può improvvisare...».
Torni a esibirti da solista, dopo una tournée corale che ha fatto registrare il tutto esaurito ovunque hai messo piede. Hai capito qual è la tua dimensione ideale? Da solo, o con gli altri?
«Sono due situazioni completamente e assolutamente differenti, davvero molto differenti. Da solo hai la capacità di spremerti e si farti spremere fino all'ultima goccia di sangue, di non privarti mai di nulla e di dare veramente tutto il te stesso che conosci. In gruppo, a parte il fatto che le sonorità per forza di cose sono nettamente più coinvolgenti, ma uno come me... cioè per come sono fatto io... dà molto spazio ai colleghi. E che colleghi poi, visto che tra quelli che suonano con me ci sono altri due cantautori (Angelini e Cortese, ndr) che hanno una identità propria e una musicalità propria. Io sono più uno che la passa la palla, pur avendo la possibilità di andare a segno molto spesso. Ecco, quando suono in compagnia sono così. Ma adesso che torno a fare il solista, per di più alle isole Tremiti e in un'area protetta, si creeranno tutte le circostanze favorevoli per una serata informale ma godibile, una serata in cui il contatto tra me e chi viene a sentirmi è assai più complice».
Più consapevole.

Giovedì 08 Agosto 2013, 17:44
20 Luglio 2025, 18:42