È tornata, dopo dieci anni, a Conversano l’«Immacolata» del Finoglio. Con il suo sguardo in alto rivolto a un’entità non visibile ma intuibile, con il suo volto affilato, così diverso dal consueto ovale della Vergine, con le mani affusolare ma terragne, e soprattutto con la sua veste bianca dai particolari effetti serici (abilità in cui eccelle Paolo Finoglio). L’«Immacolata» era allora venuta da Lille per la mostra su «Finoglio, un pittore napoletano alla corte degli Acquaviva»; ora invece è di nuovo in Puglia per quella su «Veronese, Tintoretto e la pittura veneta» che presenta i «Capolavori del Palais des Beaux-Arts» e che costituisce lo «scambio » tra Conversano e la città francese.
A Lille in questi giorni vengono invece esposti i dieci teleri in cui il pittore campano - non ancora sufficientemente apprezzato - dipinse il ciclo della «Gerusalemme liberata» del Tasso. Gli era stato commissionato da Giangirolamo Acquaviva d’Aragona, signore di Conversano, che nell’e pica antimusullana della Crociata intendeva «riflettere » le vicende eroiche del suo antenato ad Otranto (1480). La mostra, che si inaugura domani a Conversano e curata dal sovrintendente Fabrizio Vona e da Saverio Pansini, punta soprattutto a presentare - del museo di Lille - la parte riguardante la pittura veneta tra ‘500 e ‘600. A qualcuno lo scambio potrà apparire ineguale, per il valore stilistico e tematico del ciclo della «Gerusalemme»; e tuttavia - considerati alcuni capolavori in esposizione - non gli sfuggirà che questa trasferta internazionale gioverà alla notorietà del «nostro » pittore; nonché alla città di Conversano.

Al Veronese va ascritta anche la «Pietà », che presenta il sicuro intervento del fratello Benedetto e che ricalca una iconografia molto richiesta dalla devozione di fine ‘500. Ma senza dubbio più intrigante è la tela che raffigura il «Martirio di san Giorgio». Essa apre uno squarcio sulle committenze e sui gusti dell’epoca, perché il dipinto non è altro che una copia più ridotta della tela del Veronese conservata a Braida. Piacque molto il tema e si sa che questa di Lille faceva parte della collezione di Luigi XIV, il «re sole». A dimostrare che al tempo in cui l’arte non era «riproducibile», si trovava il modo di procurarsi copie di ottima qualità. Ma questa fu dipinta dallo stesso Veronese? Se non è certa la sua mano, comunque raffinata appare quella dell’eventuale copista. D’altronde la peculiarità di questa mostra- scambio non è di presentare nomi altisonanti (oltre il Veronese e il Tintoretto), ma di squarciare il velo su autori meno noti, o per nulla noti, ma efficacissimi. Come il fiammingo-veneto Johann Liss (1595-1630) che giovane dipinse il «Mosè salvato dalla acque» con una vivacità e un intreccio di stile veneto e di nordica carnalità, da far considerare questo suo quadro uno dei primi esempi della pittura barocca veneziana. Ovvero come la sofferta visione del «San Gregorio Magno» di Domenico Fetti, in cui il pittore romano (ma artista itinerante, 1589-1623) fa sue le lezioni dell’ultimo Tiziano e del contemporaneo Caravaggio.
Tiepolo, Guardi, Montezzano arricchiscono la schiera in mostra dei pittori veneti (la cui preponderante scelta intenderebbe suggerire un progetto più ampio di esposizione e valorizzazione in Puglia: una futura rassegna dedicata agli artisti della Serenissima, che raccolga tutte le opere - molte - disseminate nella nostra regione, dai Vivarini al Bellini, da Veronese a Bastiani, da Tintoretto a Paris Bordon, da Jacopo Palma a Lorenzo Lotto...). A richiamare il ciclo della «Gerusalemme» - quasi emblema anche tematico dello scambio con Lille - c’è il luminoso quadro «Rinaldo e Armida», dipinto da Alessandro Tiarini, pittore bolognese della scuola dei Carracci. Esso fa parte di una sorta di «appendice» della mostra, nella quale trovano posto pittori bolognesi (Lionello Spada e Tiarini), oltre a un magniloquente Maratta e al genovese Gioacchino Assereto, il cui modelletto raffigura «L’apoteosi di san Tommaso d’Aquino», in cui il santo teologo domenicano non ascende al paradiso affollato di beati attraverso una estatica levitazione, ma salendo su una rustica scala a pioli. Un po’ a rimandare alla biblica scala di Giacobbe, un po’ a suggerire un pedagogico messaggio: si sale al cielo attraverso più umili passi. Che poi, in fondo, è anche il lodevole messaggio di questa mostra.
(In alto a sinistra «Martirio di San Giorgio» copia del Veronese di Paolo Caliari; a destra «Gesù caccia i mercanti dal tempio» di Leandro da Ponte)