TARANTO - Quando è stato ammanettato, in un campo brullo alla periferia di Grottaglie, Michele Mastropietro era ancora vivo. Avrebbe perso conoscenza di lì a poco, con la felpa macchiata e le mani intrise di sangue. E l’ambulanza, arrivata alle 12,10, ha potuto soltanto constatarne il decesso. Parte da qui, dagli ultimi istanti dell’esistenza del pregiudicato che qualche ora prima aveva interrotto il sogno del brigadiere capo Carlo Legrottaglie di arrivare alla pensione, l’indagine della Procura di Taranto sui due poliziotti dei Falchi che hanno ammanettato Mastropietro al termine di un drammatico inseguimento e che ora rispondono di omicidio colposo.
Atto dovuto. È questa la spiegazione che si invoca in questi casi. Quando servitori dello Stato, che hanno messo a repentaglio la propria vita correndo dietro a un uomo ormai disperato, si trovano a dover rispondere davanti alla giustizia. Ma proprio per questo, proprio per non lasciare dubbi, dovrà essere l’autopsia a dire come è morto Mastropietro. L’esame dovrebbe cominciare domani: il pm Ciardo ha già delegato il medico legale Roberto Vaglio di Lecce. I due poliziotti (assistiti dagli avvocati Antonio La Scala di Bari e Giorgio Carta di Roma) hanno nominato Giancarlo Di Vella di Bari.
Le foto che hanno fatto il giro dei social mostrano Mastropietro ormai morto ma con le manette ai polsi. L’annotazione di servizio redatta dalla questura di Taranto racconta come dovrebbe essere andata. I due malviventi vengono intercettati in agro di Grottaglie grazie alla segnalazione di un cittadino. Il primo fuggitivo, Camillo Giannattasio, alza le mani e si arrende: alle 11,38 quando viene arrestato e messo nell’auto della polizia guidata da un sovrintendente. Mastropietro, armato con una Beretta 9x21, scappa e si copre la fuga sparando. Riavvolgiamo il nastro e vediamo come è andata secondo gli atti.
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