Sulla sua pagina Facebook campeggia la foto con la scritta «Qui non si arrende nessuno», e c’è da chiedersi chi sia il dittatore Fulgencio Batista perché la citazione evoca lo sbarco dei rivoluzionari castristi della Granma a Cuba. Subito dopo c’è un post che annuncia il ritorno della «primavera» politica, e in un’altra foto abbraccia l’ultimo nipote, il piccolo Enrico con la mamma Rita. Michele Laforgia, classe 1962, è candidato sindaco di Bari per Sinistra italiana, Psi, Giusta causa e associazioni, sostenuto dal M5S, nelle prossime comunali di Bari. Dopo l’abbraccio comunitario che gli ha riservato la sua associazione, La Giusta causa, nell’assemblea di sabato scorso, spiega alla «Gazzetta» le ragioni profonde del suo impegno politico in un centrosinistra diviso tra la sua opzione e quella di Vito Leccese, sostenuto da Pd, decariani e emilianisti.
Michele Laforgia, quale la prima ragione per cui è sceso in campo per Bari?
«La stessa ragione che mosse Leonardo Sciascia ad accettare la candidatura al Consiglio comunale di Palermo: “Non abbiamo nessun particolare interesse, nessuna particolare ambizione e appunto per ciò l’abbiamo fatto. Le cose civili, i gesti civili, appunto, si fanno quando nessun interesse particolare e personale, nessuna ambizione ci porta a farli”».
Si è spiegato le ragioni degli iniziali veti da parte del Pd?
«Onestamente no, e come me molti elettori, iscritti e dirigenti del Pd. Chi si si è strenuamente opposto alla mia candidatura non ha mai spiegato perché, al netto delle consuete sciocchezze mormorate sullo snobismo, sui salotti e sul radicalismo chic. A casa mia non c’è mai stato un salotto e i salotti altrui non li ho mai frequentati, anche per mancanza di tempo. Ho sempre lavorato sino a tardi».
Ci sono stati tanti incontri con Decaro e Emiliano. Dove si è arenato il dialogo per l’unità?
«Non così tanti, per la verità, ma io spero sempre nell’unità. Anche se ogni giorno sono costretto a leggere notizie che mi addolorano profondamente, come il tentativo, poi abortito, di promuovere una raccolta di firme fra i consiglieri comunali contro la mia candidatura. Se fosse vero, sarebbe molto grave».
La discussione pubblica spesso si sovrappone con il personale. In un Paese che ha avuto conflitti di interesse cristallizzati per decenni, è rivolta anche a lei l’obiezione di “opportunità” in questo passaggio, per la sua professione...
«La professione di avvocato è un osservatorio privilegiato sulla società. Consente di conoscere i mali del mondo, impone l’ascolto degli altri, anche dei reietti, e abitua all’umiltà, perché quando hai ragione occorre sempre convincere qualcuno a dartela. Anche Navalny era avvocato».
Ha dichiarato che non si ritira. Vito Leccese - lo ha definito «da 20 anni un tecnico» - domenica prossima presenta la candidatura con Emiliano e Decaro. ll segretario Pd, De Santis, propone primarie con regole severe. Quindi è pronto a candidarsi se Leccese non fa un passo indietro?
«Ho lasciato Leccese sabato mattina con l’intesa di avviare il confronto fra noi, anche al tavolo della coalizione, per arrivare a una soluzione unitaria. L’ho ritrovato nel pomeriggio già candidato sindaco con una manifestazione pubblica programmata in un cinema cittadino. Qualcosa non quadra, evidentemente. Quanto a me, ho detto, e ripeto, di essere al servizio della convenzione e della coalizione: attendo le determinazioni delle forze che compongono il fronte progressista - tutte, nessuna esclusa - e farò quello che sarà deciso, sino in fondo. Anche qualora fosse scelta, con regole condivise da tutti, una consultazione diversa delle primarie, per individuare il candidato più rappresentativo».
Una candidatura di sinistra, con sostenitori trasversali.
«Appartengo a una generazione in cui lo scontro politico ha generato lutti. Conoscevo bene Benedetto Petrone e Franco Intranò, che fu ferito la notte dell’omicidio per mano fascista, era stato mio compagno di scuola. Oggi si passa da nemici ad amici a seconda della convenienza del momento e il trasformismo è considerato un’astuzia. Io sono rimasto fedele ai miei ideali giovanili, ma non considero nessuno un nemico, rispetto tutti e apprezzo anche chi la pensa molto diversamente da me. Fra persone perbene si fa così».
L’unico punto di contatto con la destra - chiamata «un ectoplasma» - è l’opposizione al terzo mandato.
«Il mio dissenso sul tema del tris per i sindaci è noto. La destra, anche su questo, è divisa e ondivaga. La destra locale, invece, si riunisce periodicamente da mesi in attesa di un medium che da Roma individui il candidato sindaco. Vedremo quando e come si manifesterà lo spirito e, soprattutto, come lo accoglieranno gli elettori».
Colpisce che tra le priorità del suo programma ci sia il tema della sicurezza. Bari non è cambiata abbastanza dal film «Mio cognato» di Alessandro Piva?
«È cambiata tantissimo, ma il problema della criminalità e della illegalità diffusa resta. Sarebbe miope non accorgersene e gravissimo non preoccuparsene. Aggiungo, però, che per garantire la sicurezza non bastano la sorveglianza armata e la repressione penale: bisogna combattere le povertà, ridurre la distanza del centro dalle periferie, occuparsi del reinserimento di chi ha espiato la sua pena, integrare gli immigrati che vivono ai margini dei nostri quartieri. Insomma, l’esatto contrario di quanto ha fatto e sta facendo il governo nazionale».
Sull’urbanistica sarà in continuità con la giunta Decaro?
«Sull’urbanistica lo stesso Antonio Decaro, e oggi Vito Leccese, auspicano l’approvazione del nuovo piano urbanistico generale, in discontinuità con quello che (non) è stato fatto in questi anni. Effettivamente occorre una nuova visione dello sviluppo della città, che tenga conto dell’emergenza ambientale e persegua l’obiettivo primario della rigenerazione urbana».
Una città da cartolina per Lolita e turismo internazionale. Cosa manca per cogliere questa nuova dimensione economica e culturale?
«Uscire dal provincialismo che continua ad affliggerci. Bari è una città innovativa, che ospita Università importanti e mostra una vivacità intellettuale e imprenditoriale di cui non siamo sempre consapevoli».
Ama girare in bicicletta. Lo sa che le piste ciclabili sono considerate «pericolose» o «una iattura» da larga parte della cittadinanza?
«E lei sa che le strade del centro sono un pericolo costante, per chi va in bicicletta? Il traffico è uno dei problemi da risolvere, a Bari».
Si discute di calcio. Cosa pensa delle multiproprietà e del caso Bari?
«Penso che Bari meriti una prima, e non una seconda squadra, in serie A».
La politica non è solo amministrazione ma anche uno sguardo sul mondo. Sottoscriverebbe l’appello di Ghali, dal palco di Sanremo, per la pace in Medio Oriente?
«Sottoscrivo l’appello al cessate il fuoco che ogni sabato mattina le Donne in Nero testimoniano silenziosamente in via Sparano. La politica dovrebbe prendere esempio da loro, invece di dividersi sul Festival di Sanremo».