BARI - Per fortuna non è risultato positivo al Covid, ma il barese Roberto Bernasconi, 56 anni a giugno, da 18 a Shanghai (è sposato con una 54enne del posto) e da 8 titolare del ristorante Portomatto, è comunque in clausura da quando, il 28 marzo scorso, la Cina ha deciso un durissimo lockdown. Tre settimane dopo, non si intravede una via d’uscita: la strategia del contagio zero, adottata con successo dal Governo all’inizio della pandemia, adesso non funziona. Omicron è inarrestabile, con conseguenze davvero molto pesanti per i residenti e per chi nella metropoli (oltre 26 milioni di abitanti) ci lavora provenendo dall'estero: una volta risultati infetti (pure se asintomatici), si è costretti («anche se in genere si sta avendo un occhio di riguardo per gli stranieri», esordisce Bernasconi) a girovagare tra ospedali (quando la sintomatologia lo rende necessario) e strutture dedicate (ricavate in fiere, palazzi per congressi, impianti sportivi) in cui si viene ammassati spesso senza disporre di docce e a volte pure di medicinali. Bernasconi perlomeno può contare sulle comodità della propria abitazione (che condivide con la moglie, la figlia diciassettenne e la suocera ottantatreenne), da dove però non è consentito uscire nemmeno per prendere una boccata d’aria. «In precedenza - racconta - ci sono sempre state chiusure molto brevi, quindi ritenevo fosse così anche stavolta, tanto da aver evitato di fare scorte: nel mio ristorante, che naturalmente è chiuso da fine marzo, avrei potuto immagazzinare roba da mangiare anche per due mesi. Invece non l’ho fatto e me ne pento. Non è assolutamente permesso spostarsi, nemmeno per procurarsi cibo, tanto è vero che ci consegnano a casa sacchetti con i beni di prima necessità. Ieri hanno portato olio, riso e spaghetti cinesi, l’altro giorno sono arrivate verdure e carne di maiale. Solo di recente sono stati creati dei gruppi di acquisto, da quando alcune imprese sono state autorizzate a distribuire i prodotti, in deroga alle restrizioni. Ma per poter continuare le consegne i dipendenti devono rimanere in azienda, anche di notte. Le attività però sono insufficienti, non sono così capillari da fornire il servizio a tutti. Le provviste quindi non sempre arrivano. Sembra incredibile, ma spesso ci si affida al baratto. In alcuni quartieri ci sono cenni di rivolte perché l'approvvigionamento è scarso. App di messaggistica come WeChat, con cui si controlla qualsiasi cosa, stanno diventando un boomerang perché circolano video di proteste che nemmeno censurando si riescono a bloccare».
VARIANTE
Sorveglianza e tracciamento severissimi (sia pure a totale discapito della privatezza dei cittadini) sono stati, subito dopo le fasi iniziali dell’emergenza (che ha avuto origine a Wuhan), il fiore all’occhiello della Repubblica popolare cinese. Ma la variante Omicron (a quanto pare importata da Hong Kong) e una campagna vaccinale inadeguata («io e la mia famiglia abbiamo fatto tre iniezioni di Sinopharm, ma in molti, soprattutto gli anziani soli, che avrebbero dovuto essere accompagnati negli hub, non sono protetti») stanno mettendo a repentaglio l’organizzazione maniacale messa in campo da quelle parti (a livello nazionale, soltanto poco più del 50% degli ultraottantenni ha completato il ciclo di tre dosi). L’opera di contenimento, finora in grado di contrastare la diffusione del virus (con milioni e milioni di tamponi al primo manifestarsi di infezioni), adesso è incapace di contrastare il ceppo più trasmissibile che la pandemia abbia finora conosciuto. L’approccio però non è cambiato, forse perché la priorità è sempre stata dimostrare al mondo di poter sempre e comunque ottenere l’azzeramento del contagio. «A fine febbraio, quando il numero dei casi ha cominciato a salire, si è pensato di poter affrontare l’innalzamento della curva con piccole restrizioni e con il testing spinto. Fino a quel momento - aggiunge Bernasconi - le mascherine erano obbligatorie solo sui mezzi pubblici o nelle metropolitane, ma non altrove. A un certo punto si è deciso di chiudere prima Pudong, la parte più moderna di Shanghai al di là del fiume, e poi Puxi, la zona storica dove risiedo io, per poter fare tamponi a tappeto. Evidentemente c’è stata una sottovalutazione perché, con i contagiati in aumento, il lockdown è diventato totale. Pian piano la situazione è diventata sempre più critica (giovedì scorso in una comunità di Pudong c’è stata una mezza insurrezione perché le autorità volevano requisire alcuni edifici all’interno del complesso abitativo per adattarli a centri di quarantena e ci sono foto in Rete che mostrano persone risultate positive, compresi bambini sottratti ai genitori, portate via con metodi sbrigativi da addetti in tuta bianca - n.d.r.)».
REGOLE
Per fare un raffronto, durante la prima ondata della pandemia a Shanghai i supermercati si potevano raggiungere. In questo periodo è assolutamente vietato anche scendere nei giardini condominiali se c’è un solo sospetto positivo. «Noi - spiega Bernasconi, che è anche capo maglia, cioè un punto di riferimento per gli italiani di Puxi - viviamo in una casa che fa parte di un palazzo di 33 piani, con 6 appartamenti per ogni livello, inserito in un complesso costituito di altri cinque edifici residenziali. Siamo in pratica circa 3.500. Bene: a quanto ci risulta ci sarebbero due persone contagiate. Tanto basta per tenerci tutti sigillati. Se poi dopo 7 giorni c’è la certezza di non aver alcun caso allora è consentito scendere in giardino. Deve poi trascorrere un’altra settimana per poter uscire dal complesso e circolare nel quartiere. Se si scopre un altro positivo si ricomincia daccapo. Nemmeno chi deve viaggiare, magari per tornare in Italia, è sicuro di poterlo fare. Il nostro consolato, pur essendo chiusi gli uffici, sta facendo di tutto per agevolare il rientro di connazionali che sono qui per lavoro, ma è difficile che qualcuno si azzardi a dare il benestare. Funziona così: se sei negativo per allontanarti devi comunque accordarti col comitato del quartiere, in pratica la circoscrizione o il municipio italiani, i cui componenti però solitamente non si assumono il rischio di autorizzare chicchessia, nel timore che, in caso di positività di quella persona, le autorità possano rivalersi su di loro. Del resto, siamo ancora in piena diffusione del virus: giornalmente, a fronte di 15mila guariti, ci sono come minimo 25mila nuovi infetti, sebbene per la stragrande maggioranza asintomatici. Non saprei dire quando la situazione cambierà, quando potrò riaprire il mio locale, ma ho il sospetto che l’attesa sarà lunga. L’immobile del mio esercizio è di proprietà pubblica, cioè io verso l’affitto al Governo cinese. Per tre mesi tutti gli inquilini sono stati esentati dai pagamenti e da quanto trapela il periodo potrebbe estendersi fino a sei mesi. Questo mi fa capire che siamo ancora lontani dal vedere la luce in fondo al tunnel».