«La riforma della giustizia è stata rimandata per tanto, troppo tempo. Ora, grazie alle tempistiche imposte dal Recovery Plan è arrivato il momento di accelerare». È un ragionamento ad ampio raggio quello del giurista Aldo Loiodice, avvocato e costituzionalista, sulle urgenze che attendono il mondo del diritto. E che incrociano anche le necessità economiche del Paese perché troppo a lungo diritto ed economia hanno viaggiato su binari separati, nonostante i report di Bankitalia sottolineassero come il rimettersi in piedi della giustizia possa valere ben un punto di Pil all’anno.
Professor Loiodice, la convince il percorso avviato dalla ministra Marta Cartabia?
«Certamente sì e per un motivo molto semplice. È stato chiarito un concetto chiave: la cornice in cui si muoverà la riforma sarà quella del rigore costituzionale».
Rigore che al momento manca?
«Le leggi diventano spesso un pasticcio come dimostrato dalle due formule “salvo che” e “a meno che”, costantemente motore di equivoci. Tutta la vicenda che, in questi giorni, sta toccando il ddl Zan nasce da qui. Dalla mancanza di chiarezza su una legge che potrebbe avere o non avere riflessi sul pluralismo delle opinioni».
Rigore e Costituzione sono dunque le bussole. Nel merito, però, cosa serve per migliorare la giustizia italiana?
«Molti sono i punti su cui è necessario intervenire: obbligatorierà dell’azione penale, digitalizzazione, durata dei processi. Solo per elencarne tre».
Cominciamo dall’ultimo che forse è il nodo più sentito. Le percentuali di contrazione dei tempi che il Governo ha messo in campo sono notevoli. Come si vince una sfida del genere?
«Per quanto riguarda il processo penale le azioni necessarie sono due: fissare un termine per le indagini preliminari che non possono protrarsi all’infinito, soprattutto quando non c’è ragione. Ricordo che, durante Tangentopoli, furono indagate 5mila persone e condannate 400. La ministra l’ha detto più volte: serve un termine perentorio. Stesso ragionamento vale per la prescrizione che, dopo la riforma Bonafede, rischia di tenere il soggetto bloccato a vita. Urge mettere un punto fermo anche qui. Ci vogliono tempi chiari. E poi c’è tutto il tema della depenalizzazione che si lega non solo a una diversa valutazione giuridica di alcuni comportamenti, che appunto andrebbero depenalizzati, ma anche al livello di tenuità. Se rubo una mela c’è bisogno di innescare un procedimento?».
Chiudiamo il ragionamento sull’obbligatorietà dell’azione penale. In che direzione si dovrebbe procedere?
«È necessario sia il Parlamento a dare un indirizzo generale sui nodi su cui dovrebbero concentrarsi i pm, anche alla luce delle urgenze che si impongono in quella particolare fase della vita del Paese. Diversamente, si rischia che un pubblico ministero perda tempo, per sua passione, con i mercanti d’arte mentre fuori impazza il narcotraffico. Questa indicazione nella riforma c’è ed è un bene»
Voltiamo pagina. Per quanto riguarda il civile, invece?
«Credo che qui, sempre in riferimento al tema della contrazione dei tempi, peseranno soprattutto i mezzi alternativi al ricorso al giudice: arbitrato, negoziazione assistita, mediazione».
C’è poi tutto il capitolo dell’organizzazione del lavoro.
«È un altro punto importante che guarda principalmente all’Ufficio del processo, cioè il team di personale qualificato che affianca il giudice. Il rafforzamento dello staff, con le nuove assunzioni previste dal Piano, è un punto essenziale per velocizzare e meglio gestire i carichi di lavoro».
Dunque le riforma la convince a pieno?
«Forse avrei insistito di più proprio sul civile che sarà modificato a piccoli passi, ma nel complesso sulla riforma si può dare un giudizio serenamente positivo. Non è ideologica e questo, per quanto possibile, dovrebbe sganciarla da prese di posizione politiche di principio».
In che direzione dovrebbe essere riformato il Consiglio superiore della magistratura, invece?
«Non ci sono indicazioni precise in questo momento ma un’idea potrebbe essere quella di eleggere una rosa di componenti e poi procedere, tra questi, ad una selezione per estrazione».
In questo modo non sarebbe toccata la Costituzione che, appunto, prevede l’elezione.
«Non c’è tempo per modificare la Costituzione, processo complesso e soprattutto lungo. I tempi dettati dall’Europa sono stretti, anzi strettissimi. Bisogna chiudere in fretta».
Infine, professore, tutto questo che ricadute può avere sul sistema Paese in termini economici?
«I numeri sono sul tavolo e sono notevolissimi. Ne cito uno su tutti: un processo più veloce migliore l’attività produttiva delle piccole e medie imprese del 10%. Oltre ad attrarre investimenti e rendere l’Italia più competitiva. Non c’è altra via»