È una delle «riserve eccellenti» della Repubblica, proprio come Mario Draghi, convocato per oggi al Colle. Ma il nome di Carlo Cottarelli, economista, saggista e già commissario straordinario alla revisione della spesa, è circolato e continua a circolare, anche in vista della futura squadra del possibile governissimo. Quando lo raggiungiamo al telefono - a tavolo giallorosso ancora aperto - conferma, sorridendo, che non l’ha cercato nessuno, «tranne i giornalisti».
Professor Cottarelli, quanto «costa» una crisi di Governo come quella che il Paese sta affrontando in un momento così delicato?
«Impossibile tirar fuori un numero. Di certo, in passato i tassi di interesse sarebbero aumentati cosa che oggi non succede, non in misura significativa almeno, grazie all’ombrello protettivo della Bce. Ma è chiaro che qui si stanno ritardando delle decisioni essenziali per l’economia italiana. L’incertezza, dal punto di vista di imprese e famiglie, è grande. E poi c’è il grande tema del Recovery Fund».
Ci arriveremo. Nel frattempo, lei che idea si è fatto di quanto è accaduto accadendo nel Palazzo?
«Mi sono fatto l’idea che ci devono essere di mezzo anche dei conflitti personali forti altrimenti non si spiega perché non si sono messi al tavolo già un mese e mezzo fa, a inizio dicembre, quando la crisi ha iniziato a prendere corpo. Me la spiego con i personalismi, ma bisognerebbe essere stati dentro per capire ».
Matteo Renzi, però, ha avanzato delle obiezioni di merito, dal Mes sanitario al superamento della prima bozza del Recovery. Condivisibili dal suo punto di vista?
«Assolutamente, anche nella parte legata alla governance dei fondi o ai soldi per la sanità e la pubblica istruzione. Tutte cose valide. Ma, ripeto, perché non mettersi intorno a un tavolo fin da subito? Non so di chi sia la colpa ma il tema del Recovery è lì da giugno».
Stringiamo la telecamera proprio sul Recovery, allora. Cosa bisognerebbe fare?
«Il piano prevede che il 70% delle risorse siano destinate agli investimenti pubblici. E va bene. Ma poi bisogna vedere se riusciamo a farli. Ci vuole qualcosa che spinga anche gli investimenti privati ma non in termini di sussidi. Certo, c’è industria 4.0, ma prima di tutto bisogna andare a vedere cosa blocca gli investimenti da anni in Italia».
Cosa li blocca?
«La burocrazia, la lentezza della giustizia, il livello della tassazione elevato. Sui primi due punti l’azione mi sembra piuttosto debole, quanto al taglio delle tasse servirebbe una revisione della spesa. E nessuno ne parla. Di positivo, nel plan del Recovery, c’è l’investimento in capitale umano».
Tutto questo chi potrebbe farlo meglio? Un governo politico o un governo tecnico?
«Un governo tecnico in quanto tale può esistere solo per un breve tempo, ad esempio per condurre il Paese al voto. Per fare le riforme serve in ogni caso una maggioranza politica solida perché, comunque la si voglia vedere, devono passare dall’Aula».
Riformulo la domanda: per fare le riforme che «ballano» da anni in tanti hanno fatto il tifo per uno come Mario Draghi, capace di mettere tutti in riga, piuttosto che guardare a litigiosi governi politici sempre in equilibrio precario. È così?
«Mario Draghi è una grande risorsa per il Paese e questo è indiscutibile. Ma anche lui avrà bisogno di una maggioranza parlamentare larga e coesa. Siamo sempre lì».
E allora portiamoci avanti. Nasce un governo, tecnico o politico che sia. Qual è la prima cosa che dovrebbe fare?
«Al netto dell’emergenza sanitaria la priorità è ridurre la burocrazia per favorire, come detto, gli investimenti pubblici e privati. C’è un eccesso di norme, di regole, di enti da consultare. Serve una pubblica amministrazione più veloce nonché una gestione adeguata e manageriale degli enti pubblici. Il problema è che le elezioni purtroppo non si vincono facendo funzionare meglio la Pa ma con qualcosa di più concreto come reddito di cittadinanza o Quota 100».
A proposito, Quota 100 deve saltare?
«Per me, l’ho detto subito, è stata un errore. Sarebbe stato più utile impiegare quei soldi per tagliare le tasse sul lavoro».
Altro argomento spinoso è il Mes sanitario. La nuova idea è quella di prendere solo una piccola parte dei 36 miliardi disponibili, magari 5.
«La principale obiezione al Mes, da me non condivisa, ma comunque ricorrente nel dibattito, si lega a tutte le forme di controllo che scaturirebbero dal prendere quel denaro. Ora, quelle clausole scattano comunque, sia che tu prenda 5 miliardi sia che tu ne prenda 10, 15 o tutto il pacco. Quindi è una finta scappatoia. Dubito anche che sia una ipotesi realmente sul tavolo perché, davvero, non ha alcun senso».