Bari - La proroga delle Unità speciali di continuità assistenziale deve avvenire nell’ottica di una rimodulazione del loro utilizzo. Le Usca, insomma, lavoreranno anche a supporto dei Dipartimenti di prevenzione delle Asl, in particolare per effettuare inchieste epidemiologiche, tamponi, e per supportare l’imminente campagna vaccinale anti-influenza che ha come obiettivo quello di triplicare l’attuale copertura.
Una circolare della Regione firmata dal governatore Michele Emiliano e dal capo dipartimento Vito Montanaro ha sostanzialmente preso atto del fallimento dell’esperienza delle Usca, a fronte - è scritto - «del modesto numero di contagi» che ha reso abbastanza sterile, per almeno due mesi, il modello della sorveglianza domiciliare dei pazienti malati di covid. Ma i circa 400 medici contrattualizzati da maggio (in gran parte iscritti al corso di formazione in medicina generale, oppure laureati con abilitazione) verranno utilizzati per rinforzare l’attività sul campo delle Asl, salvo tornare a disposizione dei distretti se dovesse emergere la necessità.
Già ieri, a seguito della circolare, la Asl di Bari ha emanato una delibera a firma del direttore generale Antonio Sanguedolce che ha prorogato i contratti (scaduti il 31 luglio) e ha riorganizzato le postazioni Usca, riassegnate ai tre dipartimenti di prevenzione. La Asl di Bari era stata l’unica della Puglia a non rinnovare i contratti a fronte di un numero estremamente esiguo di interventi domiciliari (circa 20 in due mesi), tanto da calcolare un costo a intervento nell’ordine dei 10mila euro. I medici lavorano in convenzione, a 40 euro l’ora per 36 ore settimanali, ma l’esiguo numero di persone isolate a domicilio nel Barese, e le poche segnalazioni arrivate dai medici di famiglia (di cui le Usca dovevano essere il «braccio armato») hanno fatto sì che il servizio non decollasse mai.
I medici, tuttavia, non ci stanno. A Brindisi, ad esempio, per mancanza di personale disponibile (i medici della continuità assistenziale hanno quasi tutti rifiutato) è stata attivata una sola Usca con tre coppie di dottori che coprono l’intera provincia. «Noi - dice Davide Perbellini, uno dei medici in servizio - facciamo 18 ore settimanali, non 36, dunque con un compenso molto più basso, e in questi giorni stiamo ricominciando a uscire con frequenza, indossando tuta e doppia mascherina. A giugno-luglio facevamo 1-2 uscite a settimana, ora il lavoro è aumentato. Usciamo non solo per effettuare tamponi preventivi ma anche in caso di febbre alta su indicazione dei medici di famiglia. Abbiamo avuto recentemente, ad esempio, un caso di una persona appena tornata dall’estero». Ma in altre province la situazione è molto diversa. A Taranto, ad esempio, le Usca non hanno registrato un solo intervento per molte settimane.