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L'alfabeto del Covid 19 dalla A alla Z: la pandemia e il pandemonio

 
Marisa ingrosso

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Marisa ingrosso

Ecco l'alfabeto del Covid 19, dalla A alla Z: la pandemia e il pandemonio

Un'analisi dettagliata di tutto quello che è accaduto in questi mesi di dura lotta al virus

Mercoledì 24 Giugno 2020, 15:00

A - Annalisa - Il 20 febbraio, l’anestesista Annalisa Malara, cremonese di 38 anni, si rende conto che il giovane paziente arrivato in rianimazione si aggrava di ora in ora. «Era una banale polmonite, eppure tutte le terapie risultavano inutili. Mattia stava morendo», racconterà ai giornali. La dottoressa dell’ospedale di Codogno è la prima a capire che no, non è un’influenza e neppure una banale polmonite, è Coronavirus.
Quella diagnosi, se errata, poteva costarle caro. Invece aveva ragione lei, Mattia Maestri è il «Paziente n. 1» del virus. Il ragazzo si salva e quella diagnosi costringe le autorità a dichiarare la «zona rossa» per i comuni del basso Lodigiano.

B - Bambini - Da giovedì 5 marzo (inizialmente solo fino a metà mese, in realtà, fino alla fine dell’anno scolastico), le scuole italiane sono chiuse. L’obiettivo era proteggere docenti, operatori e famiglie. Bisognava evitare che i bambini – che, si è scoperto, possono essere vettori della malattia, pur rimanendone vittima soltanto in rari casi – si ammalassero in classe diffondendo il contagio a casa. Quel grembiulino che, ogni mattina, rendeva tutti uniformi, coprendo ogni percepibile disparità, finisce nell’armadio e sui più piccoli piomba, per intero, il peso del divario socioeconomico. Da quel giorno molti, soprattutto al Sud, non hanno potuto (non hanno potuto!) seguire le lezioni online. A loro il virus ha strappato maestre e compagni di banco, assistenti sociali e calci al pallone in strada, la scuola è finita e ciò non ha portato alcuna gioia.

Oggi, che la scuola è finita per tutti, quelle lacune meriterebbero campi estivi sì ma didattici, mirati e gratuiti, per aiutarli a recuperare, in sicurezza. I bambini meriterebbero un reale censimento delle necessità tecnologiche, cui rispondere concretamente, con connettività e computer omaggio. Abbiamo un autunno cupo dinanzi e loro che, per proteggere gli adulti, hanno pagato il prezzo dell’emergenza, non devono pagare anche quello dell’insipienza dei grandi.

C - Coronavirus - Mentre avanzava seminando morte e gettando nel panico gli scienziati del globo per le sue caratteristiche peculiari, nuovissime, questo maledetto killer ha cambiato nome, ufficialmente, almeno tre volte. All’inizio, per tutti era il «Coronavirus cinese». Poi però la Cina protestò (si rischiava lo stigma) e allora fu chiamato, provvisoriamente, «2019-nCoV». Soltanto a febbraio, dopo lunga consultazione, il «battezzatore» ufficiale dei virus, l’International committee on taxonomy of viruses, cioè il Comitato internazionale per la tassonomia dei virus (fondato nel 1966), deliberò: il nuovo Coronavirus si chiama «Sars-CoV-2» e la malattia che causa è il «CoViD-19», acronimo di Co (corona), Vi (virus), D («disease», cioè malattia) e 19 (l’anno di identificazione del virus).

D - Droplet - Grazie all’Istituto superiore di Sanità (Iss) gli italiani scoprono che «le principali modalità di trasmissione del Sars-CoV-2 sono attraverso droplet e per contatto». Per «droplet» s’intendono le goccioline di saliva piccole, piccolissime e microscopiche che emettiamo, normalmente, quando parliamo. Questa «nuvoletta» è considerata pericolosa se viene da una persona infetta a distanza ravvicinata o, peggio ancora, quando viene sparata a gran velocità da un colpo di tosse o da uno starnuto. Ecco perché tra le misure di prevenzione troviamo: l’igiene delle mani; evitare di toccare occhi, naso e bocca con le mani; tossire o starnutire all’interno del gomito o di un fazzoletto monouso; indossare la mascherina chirurgica ed evitare contatti ravvicinati mantenendo la distanza di almeno un metro dalle altre persone.

E - Emergenza - È il 30 gennaio quando l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) dichiara il focolaio internazionale di CoViD-19 un’«emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale». Quel giorno il Governo italiano (tra mille polemiche) interrompe i collegamenti con la Cina dopo aver scoperto i primi due casi confermati di contagio. Sono due turisti cinesi. Vengono ricoverati presso il Centro di riferimento Lazzaro Spallanzani di Roma in regime di isolamento (vi resteranno 49 giorni, prima di poter tornare in patria, guariti). In quel momento i casi in Europa sono cinque in Francia, uno in Finlandia e quattro in Germania. In totale nel mondo sono 7.818, di cui 7.736 in Cina.
Il 31 gennaio il Consiglio dei ministri dichiara lo stato di emergenza sanitaria. Inizialmente, il termine del periodo di emergenza è fissato al 31 di luglio. Poi, con l’evolversi della pandemia, il termine viene prorogato: l’emergenza finirà a gennaio 2021, se tutto va bene.

F - Fuorisede - Giacca e pantofole, seduti nel tinello di casa, migliaia di italiani hanno discusso la tesi di laurea on-line. Moltissimi gli studenti del Sud che, alla prima finestra utile (e anche prima talvolta, gettando nel panico sanitario le comunità locali) hanno lasciato Milano, Torino e Roma per far ritorno alle loro regioni di origine. Le tecnologie hanno dimostrato, quindi, che si può fare, si può vivere, consumare, arricchire il Sud, studiando al Nord da remoto. Viste le incognite sulla seconda ondata di contagi, prevista per l’autunno, ci si chiede per quali motivi gli atenei del Nord (e tantomeno quelli del Mezzogiorno) non abbiano deciso di copiare la gloriosa Università di Cambridge (al quinto posto nel ranking mondiale 2020) che, lo scorso maggio, ha avvisato studenti e docenti: non ci saranno lezioni ed esami in presenza fino all’estate 2021. Iniziativa civile e rispettosa. Così ci si organizza e, per esempio, non si spendono soldi per la casa fuorisede.

G - Giovanni - Giovanni Grasso è il portavoce del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Coltissimo, fedelissimo e schivo, dirige l’Ufficio stampa del Quirinale dal 13 febbraio 2015. Il suo nome rimarrà impresso nella mente di tutti per quel «Eh Giovanni, non vado dal barbiere neanch’io…», che il Capo dello Stato gli dice mentre si accinge a registrare un messaggio alla nazione. Per un errore dell’Ufficio stampa, quel fuori onda viene trasmesso il 27 di marzo e gli italiani, straziati, impauriti, chiusi in casa, scoprono che anche l’«italiano numero uno» condivide le stesse privazioni. In un secondo, il Palazzo non è più inviolabile e siderale. Si soffre tutti, tutti insieme.

H - Hacker - È l’1 aprile e gli italiani, in massa, provano a collegarsi al sito dell’Inps per accedere ai servizi previsti dal Cura Italia come il bonus baby-sitter, il congedo parentale e l'indennità di 600 euro per gli autonomi. Il sito va lento – dicono i testimoni –, s’incanta e, a volte, ti pianta in asso. Inps su Twitter getta subito acqua sul fuoco: «Stiamo lavorando a una pronta risoluzione». Ma i guai, anziché diminuire, peggiorano. Utenti denunciano di essere stati dirottati sulle pagine Inps di altri utenti con dati super-sensibili, dalla posizione fiscale alla Pec, in bella mostra. L’Autorità garante della privacy apre un’inchiesta e parla di fatto «gravissimo». In questo pasticcio assoluto, il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, prima spiega che con la mole di domande che arrivano «gli intasamenti sono inevitabili», poi al Tg1 cambia versione: sono stati gli hacker. La spiegazione, suggestiva, viene fatta propria anche dal presidente Conte, ma viene presto polverizzata da numerosi esperti e messa alla berlina sul web e sui maggiori quotidiani, senza pietà.

I - Immuni - Il pugliese Pierluigi Lopalco, epidemiologo dell’Università di Pisa, nelle passate settimane si è speso molto per convincere gli indecisi dell’utilità di scaricare l’App di tracciamento Immuni. Scelto dal governatore Michele Emiliano come responsabile del coordinamento emergenze epidemiologiche della sua regione d’origine, proprio in Puglia al professore è toccato gestire il primo «inciampo» del software: una 63enne barese è stata messa in isolamento per giorni, in seguito a un messaggio dell’App, salvo poi risultare negativa al tampone. «Nel caso della signora siamo affranti», ha detto Lopalco, spiegando che «questo è un momento di rodaggio» per Immuni.

J - Junhua - Li Junhua è, dalla scorsa estate, l’ambasciatore straordinario e plenipotenziario della Repubblica Popolare a Roma. Classe 1962, è originario del Guandong (Canton), ovvero dell’area della Cina che a gennaio è già la più colpita dal nuovo Coronavirus, subito dopo Whuan. È lui il referente italiano per sbloccare i rimpatrio dei connazionali che si trovano in Cina, è lui che favorisce l’arrivo di Dpi da Pechino accompagnadoli con dolci messaggi di amicizia («La Cina sempre con voi») ed è sempre lui a smentire con forza l’accusa americana che il suo Paese abbia nascosto l’epidemia («Accusa infondata e che cela secondi fini e malizia»).

K - Fattore K - Il 19 maggio, la rivista «Science» pubblica l’articolo del corrispondente tedesco Kai Kupferschmidt in cui si avanza un’ipotesi che sgretola la centralità del «fattore Ro» e integra la teoria delle tre T (testare, tracciare, trattare) che servirebbe a «spegnere» il contagio. Secondo le rilevazioni scientifiche, infatti, i contagiati non sarebbero uniformemente contagiosi, ci sarebbero persone super-contagiose e altre che non lo sono affatto. Per individuare questi maxi-untori, quindi, bisognerebbe sviluppare anche l’indice di dispersione K che misura quanto una malattia si presenta in piccoli gruppi (i cluster). Tre studi indicano proprio che il 10% dei positivi causa l’80% delle infezioni, con una diffusione (K) che sarebbe pari a 0,1, mentre nel caso della Sars è 0,16. Più basso è K e più alta è la trasmissibilità nel gruppo.
Alla luce di ciò, il tasso di contagiosità del Coronavirus (Ro) non sarebbe 2, come si crede, bensì 3 (nel caso del maxi-untori) e fino a zero per quelli che, pur positivi, non sono contagiosi.

L - Lombardia - Dalla superprivatizzazione di una sanità «fiore all’occhiello», alla precipitosa «esportazione» dei malati a causa dell’esaurimento dei posti nelle terapie intensive, dal «no» alle zone rosse al «perché non avete chiuso tutto?»; i messaggi della politica e l’urlo della realtà hanno intessuto una trama cupa e nodosa in Lombardia, che sarà arduo dipanare (anche per la magistratura). Di certo c’è poco. Anche le cifre sono fallaci. I casi registrati sono ufficialmente quasi 93mila e i decessi oltre 16.500, ma sono numeri errati per difetto. Nessuno sa: da quanto tempo il virus circolava (forse da novembre?), quanti si sono ammalati (da 5 a 10 volte più dei censiti?), e quanti sono spirati, magari in casa e senza il bene di un tampone.
L’unica evidenza sulla quale tutti sarebbero d’accordo è che la rete dei medici di base, la prima schiera di fanti sul fronte pandemico, era «tarlata», con ampi lembi di territorio scoperti e con professionisti impreparati e sforniti di protezioni adeguate. E hanno pagato caro. Si calcola che i sanitari lombardi ammalatisi e morti per via del virus superino il 40% del totale nazionale (dati Inail).

M - Meltdown - Non bastano scampoli di tessuti e buona volontà. Per fare delle mascherine chirurgiche serve il «meltdown», il velo di tessuto non tessuto che si trova tra i due strati esterni. La crisi sanitaria ci ha fatto scoprire che ormai in Italia è rimasto un solo produttore, a Padova, di questo film di polipropilene riciclabile filtrante e caricato elettrostaticamente. Così, nonostante dall'inizio dell'epidemia in questa fabbrichetta abbiano lavorato 24 ore su 24, e nonostante gli incentivi pubblici per far rinascere una filiera che era stata spazzata via dalla globalizzazione, ancora oggi la produzione di mascherine made in Italy è all’incaglio.

N‘ndrangheta - Per la ‘ndrangheta il Coronavirus è stato una tripla benedizione. Come denunciò il procuratore della Repubblica di Catanzaro, Nicola Gratteri, la mancanza di liquidità finirà con l’ingrassare gli usurai mafiosi che, nel giro di pochi mesi, diverranno i veri pupari delle attività economiche degli usurati, attività ottime per riciclare soldi sporchi. Già oggi, trattandosi di una delle organizzazioni più solvibili al mondo, pare che – sempre stando a Gratteri - pezzi nobili del brand Italia stiano finendo nelle fauci dei criminali, attraverso un intrico di società e Fondi di facciata. Poi ci sono gli appalti, le forniture… una pacchia. A tutto ciò si deve aggiungere l’insperato cadeau giunto grazie al (misterioso) cortocircuito interno a ministero della Giustizia, Dap e magistrati di sorveglianza. All’esito di rivolte carcerarie a orologeria, che hanno interessato contemporaneamente istituti di pena da Nord a Sud, con 14 morti, evasi, agenti feriti e danni per milioni, boss di primo piano sono stati «premiati», sono stati scarcerati. Tra i primi beneficati c’è stato Vincenzino Iannazzo ritenuto capocosca dell’omonima consorteria di Lamezia Terme, con una condanna in appello a 14 anni e 6 mesi. Seppure in isolamento, lascia la cella per il rischio contagio anche Rocco Santo Filippone, considerato il referente della ‘ndrangheta nel periodo della Trattativa Stato-mafia. È a processo con Giuseppe Graviano, sono accusati di essere i mandanti degli attentati del ‘93-‘94 che, in Calabria, costarono la vita agli appuntati Vincenzo Garofalo e Antonino Fava, uccisi a 31 e 36 anni.

O - Ospedali - Nel momento più nero, intonavano «Strada facendo» (all’ospedale di Biella), per farsi coraggio. O si aprivano in un commovente «Nel blu dipinto di blu» (all’ospedale di Desenzano del Garda), stringendo forte le mani del paziente, quasi a trattenerlo lì e non farlo volare via. Note contro la paura, mentre il virus dilagava, sottraeva spazio a ogni padiglione. Mancavano medici e infermieri e posti in terapia intensiva. Si allestivano tende per il triage esterno, percorsi protetti al pronto soccorso, nascevano reparti nei luoghi più impensabili, come in Fiera, a Milano. Tornavano in corsia i pensionati, arrivavano i tirocinanti. Dal Sud, a decine, partivano per il Nord. Il Paese era in guerra, una guerra sanitaria che costringeva a scelte estreme, belliche, come attaccare all’ossigeno chi ha più possibilità di farcela.
Oggi che questa prima battaglia cruenta sembra vinta, i reparti Covid vengono chiusi, con sollievo. Cambia anche la colonna sonora. Medici, infermieri e Oss cantano «We are the champions», come al Fazzi di Lecce o all’ospedale di Lanzo. Hanno ragione da vendere: sono loro i nostri campioni!

P - Purtroppo - «Purtroppo non c’è tempo. I numeri ci dicono di una crescita importante dei contagi, dei ricoveri in terapia intensiva e dei decessi». Con queste parole, la sera del 9 marzo, il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, annuncia agli italiani che (con 463 vittime accertate) il Paese si deve fermare. Dal 10 marzo quindi «non ci saranno più “zona rossa” o “zona 1 e zone 2” – dice Conte - ci sarà solo l’Italia zona protetta». Il giorno dopo l’Organizzazione mondiale della sanità dichiarerà la «pandemia».

L’Italia resterà in «quarantena» fino al 3 aprile, poi fino al 13. E poi ancora aperture limitate ad alcuni codici Ateco e confini regionali «blindati», autocertificazioni che durano meno di una falena e multe salate. Il «lockdown», di fatto, si protrae fino al 18 maggio e soltanto dalle ore 0.01 del 3 giugno sarà possibile spostarsi, senza limitazioni, tra le regioni e saranno possibili, senza quarantena, i viaggi da e per i Paesi Ue. Dal 15 giugno possono riaprire, con limitazioni di capienza e distanza, cinema e teatri.

Q - Quarantena - Anche la quarantena è mutata nel tempo. All’inizio di questo incubo collettivo era di due tipi, con sorveglianza attiva (come per gli italiani che, rientrati in Italia da Wuhan, sono stati posti in isolamento al Celio) o in permanenza fiduciaria domiciliare. In entrambi i casi durava 14 giorni. Un convivente positivo e tutto il nucleo familiare finiva in quarantena, segnalato all’Asl e alla Forza pubblica. Se qualcuno faceva il furbo e violava il «divieto assoluto di mobilità» rischiava di andare davanti al giudice, come minimo, per aver violato l’articolo 650 del Codice penale («Inosservanza dei provvedimenti dell’autorità»). Inoltre, per riconquistare la libertà, in caso di pregressa accertata positività, erano necessari due tamponi negativi a distanza di oltre 24 ore. Oggi, invece, l’Oms aggiorna le linee guida: la quarantena può essere di 10 giorni ed è sufficiente non avere sintomi della malattia per tre giorni consecutivi per poter riprendere la propria vita normale, per complessivi 13 giorni.

R - Rsa - Al di là delle mille inchieste che, sperabilmente, faranno chiarezza su ogni singola, eventuale, responsabilità, una cosa è certa: il sistema sanitario nazionale nelle sue declinazioni di pubblico, privato e pubblico-privato, non è riuscito a difendere le vittime predilette del Sars-CoV-2, gli anziani e gli anziani malati. Chiusi nelle Residenze sanitarie assistenziali (Rsa), senza possibilità di fuga, il virus li ha scovati e sterminati.
Lì, alla data del 1° febbraio 2020, c’erano almeno 97.521 residenti, 2.056 in Puglia (dati Iss). I decessi, in un mese, sono stati complessivamente 9.154, di questi 680 erano positivi al tampone e 3.092 avevano sintomi compatibili. Quasi 4mila esseri umani in 30 giorni, una strage.

Fatto gravissimo, la malattia ha continuato a imperversare anche un mese dopo l’inizio del «lockdown». Per il presidente dell’Istituto superiore di Sanità (Iss), Silvio Brusaferro, tra l’1 e il 23 aprile, il 44,1% delle infezioni si sono verificate nelle Rsa italiane.

S - ScienzStar - Il Coronavirus non soltanto ha aperto i microfoni alla Scienza, ha proprio creato una nuova categoria di star gli «scienzstar». Su tutti i media, a ogni ora, espertoni (veri e, a volte, farlocchi) hanno detto la loro, spesso pagati, talvolta no, talaltra per presentare un loro nuovo imperdibile libro-best-seller. Addirittura, in Italia, la debolezza della Politica, li ha messi nelle condizioni di operare in surroga, finendo per affidargli la responsabilità di scelte che la Politica pareva solo controfirmare. Al netto di tutta questa fenomenologia, due cose buone - tra le altre per carità - sono certamente accadute. Gli italiani hanno scoperto che a illuminare di speranza il buio pesto, sono per lo più dei «cervelli» precari, sottopagati. Sono cruciali, fondamentali, ma - come denunciò il direttore dello Spallanzani, Giuseppe Ippolito - a loro lo Stato destina poche «briciole». E gli italiani hanno scoperto un'altra cosa, che il vocabolario della Scienza è infarcito di forse, eventualmente, è un’ipotesi, circa, non è detto, febbre sì, febbre no, febbre a 39, a 38, a 37 e mezzo chiamate il 112. In breve, hanno scoperto che la Scienza non è dogma, bensì dubbio. E che è in evoluzione continua, muta, proprio come i virus che studia.

T - Trump - Dopo aver minimizzato la minaccia Covid, schiacciato dall’impatto devastante della malattia negli Stati Uniti, il 21 marzo scorso il presidente Donald Trump twitta al mondo la lieta novella: l’idrossiclorochina può essere il più grande fattore di successo contro il virus. La Casa Bianca conferma poi che Trump ha assunto, sotto controllo medico costante, idrossiclorochina per due settimane, al fine di prevenire il contagio. Inevitabilmente, schizzano le quotazioni di questo antimalarico prodotto da Sanofi, assieme al suo «cugino», la clorochina, prodotto da Bayer in Pakistan. Anche l’Italia cerca di procurarsene e accetta il dono in compresse di clorochina delle Forze armate pakistane e di Bayer Italia. «La Gazzetta», però, scopre che questi farmaci sono stati distribuiti agli ospedali senza previa ispezione dell’impianto pakistano da parte delle Istituzioni Ue, italiane o americane e senza un test chimico-fisico dell’Agenzia italiana del farmaco. Dopo la nostra inchiesta, la Puglia decide, per precauzione, di sospendere l’uso del medicinale. Intanto, «The Lancet» pubblica uno studio secondo cui idrossiclorochina e clorochina farebbero più male che bene ai pazienti Covid, li ucciderebbe causando gravi danni cardiaci. Conclusioni cui arriva anche l’ente di controllo americano (Food and drug administration) che le mette al bando.

U - Università - Ora che l’anno accademico-Covid 2019-2020 sta finendo, la Svimez informa che, a settembre, 9.500 ragazzi non potranno iscriversi all’Università. Di questi, ben 6.300 sarebbero meridionali. I genitori non potranno pagare, contemporaneamente, tasse e libri e spostamenti e rinunciare all’apporto economico che potrebbe venire dai lavoretti che i loro ragazzi potrebbero trovare.
Se accadesse sarebbe una sciagura nella sciagura. Per evitare al Paese di rinunciare ai «cervelli» potenziali e ai meritevoli poveri di avere un futuro mutilato, la parola spetta alla politica, anche regionale. Per esempio, oggi ai nuclei familiari con un Isee entro i 40mila euro è concesso il bonus vacanza. Molto bene, così si aiutano famiglie e Turismo. Ma se in quelle famiglie c’è un giovane che si è diplomato col massimo dei voti perché, non concedergli un «bonus università» che copra tutto? Aiutare i giovani migliori non è un atto di altruismo, è un investimento per il nostro Paese.

V - Veneto - Ufficialmente, il primo morto di Coronavirus in Italia si è registrato a Vo’ Euganeo, in provincia di Padova, il 21 febbraio. Si chiamava Adriano Trevisan e aveva 77 anni. In realtà, l’autopsia, effettuata su richiesta della procura di Padova il 26 aprile, ha stabilito che sono stati i suoi tanti acciacchi a ucciderlo, non il virus. Ma quel decesso e il test risultato positivo ha comunque cambiato il corso della storia del Veneto. Subito dopo la morte di Trevisan, lì arrivò l’ordinanza di lockdown totale, firmata dal governatore Luca Zaia e dal ministro della Salute, Roberto Speranza, e non soltanto a Vo’ (dove i casi sono poi rimasti contenuti a 66) ma in tutta la regione i tamponi sono stati fatti a raffica, anche in presenza di un sospetto, di un colpo di tosse. Forse è anche per questo che il Veneto, ancora oggi, può vantare di aver limitato il diffondersi del contagio molto meglio di quanto fatto nella vicina Lombardia.

Andrea Crisanti, il virologo direttore dell’Unità complessa diagnostica di microbiologia della Asl di Padova, dice: «Noi il virus non l'abbiamo aspettato, lo siamo andati a cercare facendo tamponi a tappeto».
Al netto delle successive polemiche Crisanti-Zaia sulla paternità delle strategie sui tamponi, il risultato di questo buon amministrare ha un profilo politico, il governatore affronta le prossime elezioni regionali con un consenso del 60% e – anche se l’interessato smentisce – lancia la prima, seria, Opa sulla Lega a guida Salvini.

W Wuhan - Wuhan, capoluogo della provincia dell’Hubei, passerà alla storia come l’epicentro del virus che ha sconvolto il mondo. Per mesi si è ritenuto che lì, nel mercato del pesce, tra dicembre 2019 e gennaio 2020, vi sia stato il salto di specie animale-uomo di questo nuovo Coronavirus. Taluni scienziati hanno anche tratteggiato l’ipotetico momento ics, l’istante in cui un pipistrello, della razza «ferro di cavallo», vivo e infetto, viene macellato da un essere umano che, avendo un taglio sulla mano, si contagia. In realtà, nessun campione animale prelevato nel mercato è risultato positivo al Coronavirus. Quindi, le autorità cinesi hanno avanzato un’altra ipotesi: un «Paziente zero» (che ha contratto la malattia sì da un animale, ma altrove), giunto a Wuhan nel novembre del 2019. Nella città super-umida (è alla confluenza del Fiume Azzurro e del Fiume Han) e che il 18 gennaio riuniva 40 mila famiglie per vincere il Guinness dei primati per il più grande banchetto di massa, il virus ha trovato le condizioni ottimali per diffondersi. Ed è stata strage. C’è però anche una terza ipotesi, sempre negata da Pechino, ovvero quella secondo cui questo nuovo Coronavirus sarebbe «fuggito» dall’Istituto di virologia di Wuhan, dotato di un laboratorio di livello di biosicurezza 4.

X - Xuejie - «Marito mio, ci vedi dal Paradiso? L’ultimo regalo che mi hai fatto è nato oggi», con queste parole struggenti, il 12 giugno scorso, Fu Xuejie annuncia al mondo di aver dato alla luce, in un ospedale di Wuhan, il secondo figlio dell’uomo che aveva sposato e che era morto di Coronavirus, mentre era incinta. Li Wenliang, questo il nome del marito, è il medico che in Cina, per primo, denunciò la diffusione di un virus simile alla Sars. Pagò quella sua illuminata intuizione con l’ostracismo della dittatura cinese, fu incriminato per aver «diffuso false informazioni su Internet». Era il mese di dicembre. Se l’avessero ascoltato, il mondo intero avrebbe avuto un mese di anticipo per prevenire l’apocalisse.
Pechino riabiliterà post mortem il dottore-eroe conferendogli una memoria al merito, ma quello della signora Xuejie è un nome che va ricordato, non soltanto per la sua storia individuale, bensì perché lei rappresenta idealmente tutte le vedove, gli orfani, i parenti e gli amici più cari dei medici e degli infermieri vittime della pandemia e di sistemi di governo che, pur con tutti i distinguo del caso, non hanno saputo, potuto e talvolta voluto, proteggerli.

Y - Cromosoma Y - L’assenza del cromosoma Y e il gruppo sanguigno zero, questi sarebbero i fattori di protezione dai sintomi più severi della malattia su cui si apposta l’attenzione degli scienziati. L’ipotesi è che il virus avrebbe realmente anche una diversa manifestazione in base al sesso.

Gli studi sono ancora in corso ma l’idea che si son fatti i ricercatori è che l’uomo sarebbe penalizzato per la presenza del cromosoma Y. Infatti la donna che ha due cromosomi X, cioè uno in più rispetto all’uomo, godrebbe del fatto che molti dei geni legati all’immunità si trovano proprio sui cromosomi X. In pratica, le donne avrebbero il doppio delle risorse positive rispetto agli uomini. Senza contare che, mentre il testosterone (l’ormone sessuale maschile), è un immunosoppressore, gli estrogeni sono considerati immunostimolanti.

Z - Zain - La zeta, «zain» nell’alfabeto ebraico, è una lettera potente. È una lettera-porta, giacché nel punto in cui termina la sua corsa un ciclo si chiude e uno si apre, ed è una lettera-guerriera, nata da antichissimi segni, come rappresentazione di una freccia che penetra la carne o di una folgore. E c’è solo un’immagine che merita la zeta perché «è» la zeta. Quella di un uomo anziano circondato da una selva di fulmini che, in un cupo imbrunire, sotto una pioggia scrosciante, si lascia alle spalle le spessa mura vaticane e affronta l’enormità vertiginosa di una Piazza San Pietro completamente vuota. Il Papa prega, da solo, sul sagrato della Basilica. È il 27 marzo, nove giorni prima le foto dei camion dell’Esercito giunti a Bergamo per movimentare le salme hanno sconvolto l’Italia. Francesco chiede aiuto a Maria: «Benedici il mondo, dona salute ai corpi e conforto ai cuori, non lasciarci in balia della tempesta». «Le nostre vite – dice - sono tessute e sostenute da persone comuni – solitamente dimenticate – che non compaiono nei titoli dei giornali e delle riviste né nelle grandi passerelle dell’ultimo show ma, senza dubbio, stanno scrivendo oggi gli avvenimenti decisivi della nostra storia: medici, infermieri e infermiere, addetti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze dell’ordine, volontari, sacerdoti, religiose e tanti ma tanti altri che hanno compreso che nessuno si salva da solo».

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