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Cottarelli: «L'Ue ha fatto il suo, ora tocca a noi. La Puglia? Riparta dal Libro Possibile»

 
Leonardo Petrocelli

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Leonardo Petrocelli

Cottarelli: «L'Ue ha fatto il suo, ora tocca a noi. La Puglia? Riparta dal Libro Possibile»

Parla l'economista: «Serve riforma che chiarisca competenze di Stato e Regioni. La storia degli assistenti civici? Grottesca»

Giovedì 28 Maggio 2020, 12:49

Qualcosa è stata fatta, ma servirà ben altro. Magari «con l’aiuto dell’Europa», che proprio ieri ha formalizzato la proposta di contrasto alla crisi, e soprattutto cogliendo l’occasione per correggere i nostri atavici vizi: lentezza burocratica, carenza infrastrutturale, inefficienza della macchina statale. È questa l’analisi a tutto tondo che l’economista Carlo Cottarelli, direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici, offre alla «Gazzetta», sottolineando, contestualmente, la difficile situazione del Sud, «appeso» alla ripartenza piena del Paese. Turismo, enogastronomia, cultura, eventi. Punti di forza «meridiani» che attendono il decollo magari e, in questo senso, un segnale potrebbe arrivare dalla Puglia con la conferma dal Festival «Il Libro Possibile» di cui proprio Cottarelli è affezionato frequentatore.

Professor Cottarelli, partiamo da Bruxelles. La proposta della Commissione è davvero un giro di boa come sostiene qualcuno?
«È certamente uno snodo importante. Chiaramente alcune cose come la mutualizzazione dei debiti passati, secondo me, non si faranno mai, ma è filtrato il principio di prendere, insieme, soldi in prestito per fare, sempre insieme, qualcosa. Un passaggio importante perché è un po’ quello che potrebbe fare un vero bilancio federale. Insomma vedremo dettagli e durata del progetto ma si va nella giusta direzione».

E dal punto di vista politico?
«Le notizie sono positive due: la Francia si è spostata nel Club Med, cioè nel gruppo dei Paesi del Sud, come Italia e Spagna, e la Germania è lì dietro».

Secondo lei l’Italia come ha condotto le trattative in Ue? Sbagliato impiccarci al Mes?
«Quella del Mes è stata una inutile deviazione. Qualcuno è convinto, qui in Italia, che la Commissione non aspetti che il momento per tirarci un bidone».

E non è così?
«È una cosa assurda. Se la Commissione volesse potrebbe metterci in difficoltà in qualsiasi momento e senza bisogno del Mes. Quindi il problema non è quello».

Al netto degli sviluppi europei, cosa racconta la fotografia dell’Italia nella Fase 2?
«È la fotografia di un Paese messo male già prima della pandemia che da vent’anni perde terreno rispetto al resto del continente. Abbiamo cominciato con la flessione demografica, poi quella del reddito e infine le due crisi finanziarie più forti. Senza dimenticare l’alto debito pubblico e la scarsa produttività».

Un disastro, insomma. E poi è arrivato il Covid...
«Sì, piove sul bagnato. Ora bisogna capire come uscirne».

Ecco, come se ne esce?
«Finora il governo ha messo in campo misure, seppur generose, sostanzialmente difensive di protezione del reddito. Ma ci vorrà altro. Non solo dal punto di vista progettuale, ma anche nel metodo».

Cioè?
«I provvedimenti sono estremamente complicati e di difficile implementazione. Anzi di difficile lettura. Senza considerare tutti i ritardi, gli intoppi e le omissioni nella applicazione».

Si riferisce al dl Rilancio?
«È un mattone da 110mila parole. La prima frase è lunga nove righe. Nove righe, signori. E per dire cosa? Che le Regioni devono preparare dei piani sanitari. Una cosa semplicissima, ma devi leggerla due volte per capire».

Proviamo a dare un colpo di spugna. Cosa ci vorrebbe?
«Non conosciamo la durata della crisi sanitaria e, di riflesso, nemmeno di quella economica. Dunque le operazioni difensive di breve periodo non bastano. Per far ripartire l’economia servono investimenti pubblici importanti e poi snellire la burocrazia, rendere efficiente la giustizia e, soprattutto, la macchina dello Stato. Un punto, quest’ultimo, assolutamente cruciale».

In altri termini, servirebbe una riforma costituzionale?
«Guardi, innanzitutto servirebbe imparare a gestire il dibattito pubblico diversamente. Le relazioni tra Governo e Regioni non sono state semplici perché le aree di responsabilità rimangono poco chiare. E su questo bisognerebbe intervenire. Ma anche all’interno dell’esecutivo non sono mancati i problemi».

Si riferisce alla vicenda degli assistenti civici?
«Una vicenda assurda. Un ministro fa una proposta, il Viminale non ne sa nulla, riunioni a mezzanotte. Semplificare il Paese vuol dire questo: definire le competenze e chiarire i passaggi».

Torniamo agli investimenti. Quanto pesa il nodo del deficit?
«Pesa, indubbiamente, anche perché molto è stato già speso. Ma questo, e lo dico proprio io, è uno dei casi in cui non c’è alternativa. La Germania ha un debito pubblico molto basso e, naturalmente, è riuscita a fare cose eccezionali. Noi no, possiamo far meno, ma per fortuna il debito aumenta soprattutto nei confronti della Bce».

Infine, professore, stringiamo la telecamera sul Sud. È questa, come molti dicono, la vera emergenza italiana?
«Il Sud è vittima di un paradosso: ha patito la crisi sanitaria meno di altre parti d’Italia ma rischia ora di pagare il pezzo più alto. Un Paese chiuso uccide l’economia del Mezzogiorno, basata su intrattenimento, turismo e cultura».

A queste latitudini il caso più eclatante è quello del Festival «Il Libro Possibile», diretto da Rosella Santoro, ormai un appuntamento fisso dell’estate pugliese. La manifestazione dovrebbe svolgersi?
«Certamente sì. Se parliamo di libri e dibattiti è certamente uno dei principali eventi nell’intero panorama nazionale. Sarebbe davvero grave rinunciare a una combinazione così virtuosa tra cultura, turismo, imprenditorialità e capacità di innovare con successo. Dirò di più: il “Libro Possibile” potrebbe essere un ottimo punto di ri-partenza per la Puglia»

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