BARI - Mappati (con l'app «Immuni») e tappati (naso e bocca) con le mascherine: nei mesi a venire, sarà la condizione di tutti gli italiani, chiamati anche a sottoporsi ai test rapidi su larga scala (vedremo quando e come). La fase 2 non sarà a regime fino a quando non saremo tracciabili e sicuri con dispositivi individuali di protezione di cui disporre in gran quantità senza dover contare sulla importazione da Paesi più o meno amici. La parola d'ordine sarà (è) auto produzione, che fa rima con riconversione, decisa da aziende pure baresi in continuo contatto col Politecnico per realizzare un prodotto il cui fabbisogno iniziale stimato per la popolazione italiana è di 40 milioni di pezzi monouso al giorno. Ne consegue che in Puglia ce ne vorranno subito almeno 2-2,5 milioni quotidianamente per oltre 4 milioni di persone.
RIAPRO - Nell'ambito di Riapro (Riconversione aziendale per la produzione di dpi), il Politecnico ha costituito un gruppo di lavoro che, in stretta collaborazione con la Regione e con altre istituzioni, fornisce indicazioni utili alle aziende che hanno appunto deciso di convertire l'attività per venire incontro alle esigenze dei cittadini, compreso il personale sanitario, per contenere i contagi da Covid-19. Delle circa 250 imprese che hanno contattato l'Ateneo barese, sono 160 quelle interessate alla produzione e commercializzazione delle mascherine filtranti e 21 quelle che hanno già iniziato o sono in procinto di partire con l'obiettivo di arrivare a una produzione complessiva giornaliera di circa 300 mila mascherine (tra queste, 11 sono della provincia di Bari: tre di Bitonto, FLX, Leccese sas e PFL Moda, due di Cassano delle Murge, Paola Creazioni e Gordon Confezioni, MickyFlex di Capurso, Dalin Italian Atelier di Castellana Grotte, New CS Salotti di Gravina in Puglia, DAVID srl di Molfetta, ITMODA di Ruvo di Puglia e Alfatex di Santeramo).
SANIGEN - Per giungere al target di almeno 2 milioni di pezzi stanno scendendo in campo, oltre alle imprese medio-piccole già menzionate, per la maggior parte operanti nel settore delle confezioni e del tessile, anche alcune grandi società (il gruppo Natuzzi e la Fas di Corato, ad esempio). Tra queste, c'è una azienda barese doc: la Sanigen spa, con sede e stabilimento alla zona industriale. Fondata da Giovanni Cascione, presidente e socio-fondatore, da quasi 40 anni (dal 1983) è leader nel proprio settore: possiede una gamma di linee produttive per la realizzazione di pannolini per bambini, pannoloni per incontinenti, carta asciugatutto, rotoloni industriali e assorbenti igienici tradizionali e ultra slim. «Sin dall'inizio dell'emergenza - afferma Annabella Cascione, 38 anni, responsabile della Divisione amministrativa e finanziaria - abbiamo dato la disponibilità a utilizzare uno dei macchinari della linea che produce assorbenti per donna ultraslim. La tecnologia è in grado di gestire entrambi i prodotti, ma ovviamente daremo priorità alle mascherine. Il potenziale, a pieno regime, è di 300mila pezzi al giorno. Non abbiamo fatto in maniera precisa una verifica circa costi e ricavi perché stiamo operando in velocità con l'intenzione al momento di essere utili al territorio. Siamo in attesa dei risultati dei test di laboratorio, in corso alla Masmec di Bari e alla AC Boilers di Gioia. Ma c'è un altro ostacolo da superare: il reperimento della materia prima. Anche riguardo ai tessuti siamo sempre in contatto col Politecnico per le indicazioni».
TESSUTI - Ti conosco, mascherina! Per non farsi ingannare dalle apparenze è bene chiarire un concetto. Sebbene ci siano deroghe dettate dall'emergenza Covid-19, una mascherina filtrante non è automaticamente anche chirurgica. Perché lo diventi, serve la relativa certificazione, visto che il prodotto deve avere determinate caratteristiche tecniche, a cominciare ovviamente dalla peculiarità del tessuto. «Le aziende che producono mascherine filtranti - spiega Giuseppe Carbone, direttore del Dipartimento di Meccanica, Matematica e Management del Politecnico - per ottenere le certificazioni devono superare i test dell'Istituto Superiore di Sanità o dei laboratori accreditati. Poi il dispositivo diventa fruibile anche dal personale sanitario. Certamente, però, nell'attesa che ciò avvenga, è consentito commercializzarlo per l'utilizzo da parte della popolazione. A monte, però, c'è un'altra questione che è fondamentale. Prima ancora dell'organizzazione della filiera (le azienda di cui sopra, piccole o grandi che siano, sono sostanzialmente degli assemblatori - ndr), è determinante il ruolo dei produttori di tessuto, aziende che dovranno provvedere alla fornitura del materiale. In Italia non ce ne sono molte. Una di queste insiste sul nostro territorio e ha la capacità di soddisfare gran parte del fabbisogno a patto che si trovi un'alternativa alla materia prima che non ci faccia più dipendere dal mercato estero (il meltblown, usato normalmente, è introvabile - ndr). In queste ore si sta testando un tessuto promettente. Per quanto riguarda la produzione delle FFP2 e FFP3, per medici, infermieri e soggetti di primo intervento, i tempi sono più lunghi. Per queste mascherine i produttori devono attenersi a ulteriori rigorosi canoni produttivi e a certificazioni inderogabili, non ultima quella dell’Inail.
Si potrebbe anche usare il tessuto filtrante utilizzato per le chirurgiche se, cambiando grammature e spessore, sono garantiti standard elevati. Ma non basta: la forma della maschera, che deve aderire bene al volto, è diversa per funzionalità, visto che deve proteggere chi la indossa dall'ambiente esterno».