La telefonata di mio padre arriva inaspettata. «Ti giro la lettera di una studentessa fuorisede che è stata pubblicata oggi sulla Gazzetta. Lei (sottolinea il “lei” con un sospiro) è tornata a casa per il ponte dei morti e le dispiace ripartire». Ecco allora il motivo della chiamata: farmi sentire in colpa, io, per lo stesso «ponte», ho preferito prendere un aereo e andarmene in Spagna… «Ok papà, ma dopo che l’ho letta?». «Pensaci».
Così leggo le riflessioni di Erika e la prima cosa che provo è appunto un senso di colpa: io scendo a casa giusto a Natale e in estate, per il resto tra Torino, dove stavo fino a qualche mese fa, e Milano, dove sono ora, ho solo l’imbarazzo della scelta per voli a basso costo che mi permettono di girare l’Europa. Tra l’altro ho amici a Londra, altri in Spagna… Che sia chiaro, amo i miei genitori, giù ho una nonna che adoro, ma se posso viaggiare ed esplorare posti nuovi è sempre la mia prima scelta.
Continuo a leggere. Erika scrive: «Al Nord c’è lavoro, è vero, ma al Sud c’è vita». Beh, forse papà aveva ragione, una riflessione c’è da fare. A questo punto il mio senso di colpa si dissolve. No, non sono d’accordo.
Io non mi sento penalizzata nell’essermi dovuta spostare per studiare o lavorare, probabilmente lo avrei fatto anche se a Bari avessi avuto tutte le possibilità lavorative del mondo. Ho 26 anni, ho conseguito la triennale a Bari, la specialistica a Torino dove ho iniziato a lavorare una settimana dopo la mia laurea, ora sono a Milano perché mi sono resa conto che per centrare l’obiettivo che mi sono prefissa ho bisogno di una ulteriore specializzazione. Così ora lavoro part time e ho ripreso i miei studi, anche per aiutare economicamente i miei nelle mie scelte. Sono grata dell’opportunità che sto avendo e penso che l’avrei fatta fuori dalla mia città comunque. Perché voglio mettermi alla prova, perché già dopo i 16 anni la mia stanzetta a casa mi stava stretta, perché penso che la vita sia un buon lavoro, che ti permette di incontrare gente e fare nuove esperienze, perché non mi sono sentita costretta ad andar via, ma una privilegiata a poterlo fare. Forse tra 15 anni, se ne avrò la possibilità, tornerò «a casa» ma ora no, ora voglio vedere e sperimentare.
Richiamo papà: «Ti voglio bene, lo sai? Perché tu e mamma mi avete insegnato a volare».
(lettera di Elisabetta, ex studentessa fuorisede)