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Magistrati arrestati a Trani, Scimè: «Mai truccato i processi»

 
Massimiliano Scagliarini

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Massimiliano Scagliarini

Giustizia svenduta, Savasta: «ho dato 10mila euro a Scimè»

La difesa dell'ex pm: «Chiesi la condanna per D'Introno, i reati non erano prescritti»

Giovedì 18 Luglio 2019, 13:40

L’ex pm di Trani, Luigi Scimè, dice di non aver mai favorito Flavio D’Introno, l’imprenditore di Corato che lo accusa di aver accettato denaro, e smonta la ricostruzione fatta dall’ex collega Antonio Savasta circa le assegnazioni di alcuni fascicoli. Lo ha fatto con una lunga dichiarazione spontanea resa al termine dell’udienza del 28 giugno scorso dell’incidente probatorio davanti al gip di Lecce, Giovanni Gallo.

Il fulcro delle accuse a Scimè riguarda il processo Fenerator, quello in cui D’Introno è accusato di usura, fascicolo che Scimè aveva ereditato da un collega trasferito. Savasta ha raccontato di aver studiato lui il fascicolo e di aver fatto in modo che Scimè chiedesse la condanna solo per i reati che sarebbero andati in prescrizione. Ricostruzione che il diretto interessato (difeso dall’avvocato Mario Malcangi - ha però smentito. «Dopo un attento e pesante studio - ha detto - conclusi per una parte di condanna e per una parte di assoluzione. Tanto fui cattivo che la Procura generale, quindi il superiore gerarchico di una Procura, ha chiesto l'assoluzione completa mentre io ho chiesto la condanna per reati che non era vero che si prescrivevano. A maggio 2014 non era prescritto nulla dei reati per cui ho chiesto la condanna. Dopodiché io le conclusioni sul perché poi la Procura generale ha chiesto l’assoluzione e io, invece, avrei avuto dei soldi per chiedere la condanna lo lascio al mio difensore». L’ex pm tranese (oggi giudice a Salerno) smentisce anche l’incontro che sarebbe avvenuto sul terrazzino della casa della madre di Savasta per parlare del processo Fenerator: «Io conosco la casa del dottor Savasta perché da ragazzino l'ho frequentata qualche volta. Non c'è un terrazzino. C'è un piccolo balcone assolutamente inabitabile per fare una riunione dove il giurista D'Introno e il giurista Savasta preparano delle conclusioni».

L’altro tema riguarda il visto che Scimè, come sostituito anziano, avrebbe messo sulla richiesta di sequestro delle cartelle esattoriali a carico di D’Introno predisposta da Savasta. «Io apposi il visto non perché ero lì, perché c'era un provvedimento espresso del dottor Capristo che delegava me e il dottor Giannella. Quindi, poiché il dottor Giannella era assente, lo misi io perché lo dovevo mettere io. Una volta controllata la regolarità formale dello stesso [fascicolo], come il dottor Savasta ha detto, io non avevo un'attività illegittima, avevo un'attività doverosa di apposizione del visto. Assolutamente non potevo rifiutarmi». Scimè ha smentito l’esistenza di incontri a tre con gli altri due ex colleghi. «Non sono mai venuti insieme il dottor Savasta e il dottor Nardi. Io non vedo il dottor Nardi dal 2011 - 2012 forse. Non ho mai avuto contatti con lui da quell'epoca, tranne un messaggio quando morì il povero papà». Scimè, come Nardi, Savasta e altre 9 persone ha ricevuto l’avviso di conclusione delle indagini: gli viene contestata la corruzione per aver preso 75mila euro da D’Introno.

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