BARI - Vito Savino, già presidente del Tribunale di Bari e governatore pugliese negli Anni Novanta, che lettura possiamo dare delle inchieste che stanno sconvolgendo la magistratura italiana?
«È stata rimossa la copertura di un sistema di potere che esisteva da tempo anche se non a questi livelli: da sempre le correnti hanno svolto un ruolo essenziale in collegamento con i laici, in verità strumentalizzandoli perché l’incidenza dei togati è assai maggiore».
Dobbiamo sospettare che le nomine siano sempre state il frutto di giochi correntizi?
«Qualche volta è successo che dei magistrati, non schierati in nessuna corrente, siano stati eletti perché di un livello superiore. Ma nella stragrande maggioranza dei casi il magistrato perbene, in gamba, professionale, non iscritto all’Anm, o se iscritto formalmente non impegnato in nessuna corrente, non ha quasi nessuna possibilità di essere indicato come capo di un ufficio giudiziario».
Quindi le correnti hanno perso la loro ragion d’essere involvendo in un sistema di potere?
«All’inizio hanno avuto una giustificazione ideologica ma da tempo consistente l’hanno ormai persa. Sono soltanto dei centri di potere che favoriscono la scalata».
Proviamo a «disegnarla» questa scalata.
«Prima ci si impegna nella corrente per ottenere delle responsabilità, poi ci si adopera per l’elezione nelle giunte distrettuali. Da lì il passaggio al comitato centrale e alla giunta nazionale. L’ultimo gradino è il Csm».
Tutto questo a scapito di cosa?
«Tenga presente che la stragrande maggioranza dei magistrati superimpegnati in attività di corrente non sono professionalmente eccelsi. Un po’ perché non ne hanno il tempo, un po’ perché il magistrato di livello superiore è difficile che si impegni, dalla mattina alla sera, in attività sindacali e parasindacali. Per capirci...»
Prego.
«Palamara è l’emblema del magistrato carrierista. Un po’ intrallazzatore, chiacchierone. Nessuno più di lui, da punto di vista fisiogniomico e culturale, ne incarna il ritratto perfetto»
Ma, allora, la morale qual è? Non ci sono anticorpi?
«Esatto, il punto è questo. Non ci sono anticorpi. Se pensa che l’anticorruzione esiste anche nel comune più piccolo, è assurdo che non ci sia uno strumento di questo tipo in magistratura. Il concorso per entrare è di tipo tecnico, lo si supera alcune volte per merito, tante altre per fortuna, con tutto il nodo delle scuole, Bellomo docet».
Dopodiché?
«Dopodiché non c’è più nessun controllo. Nessuna verifica delle frequentazioni, del modo di vivere, della moralità. Tutto passa in second’ordine. E si arriva al caos odierno».
E quindi riprende quota il nodo riforme. Cosa pensa della separazione delle carriere?
«La separazione delle carriere ha i suoi pro e i suoi contro, ma credo che non risolva i problemi»
E allora cosa ci vuole?
«La prima riforma da fare è mettere il Disciplinare fuori dall’ordine giudiziario e dal Csm. A giudicare i giudici dovrebbe essere un organo esterno, magari una articolazione della Corte costituzionale con soggetti eletti dal Parlamento».
Per quanto riguarda il Csm, invece? Cosa pensa del sorteggio come metodo di selezione?
«Sono d’accordo, ma non dovrebbe essere esteso a tutti. Ci vorrebbe una commissione, al di fuori della magistratura al pari del disciplinare, che redige un elenco di persone meritevoli di essere componenti del Csm. E poi, solo allora, tra questi, si estrae a sorte. Non ci sono altre soluzioni».
Lei è stato presidente della Regione Puglia. Ritiene che i giudici, dopo aver fatto politica, possano rientrare in magistratura o sarebbe meglio evitarlo?
«Guardi, proprio io le dico che sarebbe meglio evitarlo. Dipende molto dalla qualità della persona, dal suo equilibrio. Ma per motivi di garanzia esterna non dovrebbero più tornare. Si possono fare tante altre cose, dall’avvocato dello Stato al dirigente dell’amministrazione giudiziaria, ma non il giudice».