BARI - La Xylella spaventa tutta Europa, con il contagio che avanza verso nord a una velocità di più 2 chilometri al mese; dopo aver devastato la Puglia rischia di infettare nel giro dei prossimi cinque anni l’intero Mezzogiorno. E’ quanto afferma la Coldiretti, dopo l’allarme lanciato dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) sul batterio che minaccia gran parte del territorio Ue, dove sono stati individuati altri casi di malattia dalla Francia alla Spagna, dalla Germania al Portogallo.
Sotto accusa, sottolinea la Coldiretti, le responsabilità regionali e anche comunitarie a partire dal sistema di controllo dell’Unione con frontiere colabrodo, che hanno lasciato passare materiale vegetale infetto. Dall’autunno 2013, data in cui è stata accertata su un appezzamento di olivo a Gallipoli, la malattia si è estesa senza che venisse applicata una strategia efficace per fermare il contagio che, dopo aver fatto seccare gli ulivi leccesi, ha intaccato il patrimonio olivicolo di Brindisi e Taranto, arrivando a Monopoli, in provincia di Bari, con effetti disastrosi sull'ambiente, sull'ambiente, l’economia e sull'occupazione. Il conto dei danni causati dalla Xylella in Italia, secondo la Coldiretti, è salito a 1,2 miliardi di euro.
L'INTERVISTA AL PROF. MONTEMURRO - «La lotta alla sputacchina? È una ricetta da rivedere». Così il prof. Pasquale Montemurro, ordinario di Agronomia e specialista di Malerbologia dell’Università di Bari, ci svela quali sono le regole d’oro per contrastare al meglio l’avanzata del batterio killer.
Qual è, se esiste, il modo per contrastare la Xylella?
«Ahimè non si può debellare ma si può arginare attraverso la rimodulazione di alcune strategie fitosanitarie, già in atto. La lotta agli insetti vettori dovrebbe essere attuata in modo “indiscriminato”, e pertanto non solo negli oliveti, ma anche in tutte le coltivazioni della zona cuscinetto. Bisogna utilizzare in modo integrato tutti i metodi possibili, quindi anche gli ovicidi e i diserbanti ad azione residuale. Se si usano gli ovicidi, si può ridurre drasticamente la carica delle uova».
Eppure c’è chi manifesta scetticismo nei confronti della scienza.
«Il problema nasce dal fatto che la gente non sa cosa sia la chimica. Bisogna anzitutto combattere questo stereotipo culturale e l’unico modo per farlo è parlando del problema, non nascondendosi. Molti agronomi si sono tirati indietro e continuano a non esporsi, ma io lo faccio. Non esiste una ricetta sicura ma se si iniziano ad applicare i trattamenti con ovicidi già in inverno per ridurre la carica di uova delle sputacchine, con il tempo si ridurrà l’infestazione dell’insetto».
Poi?
«Poi bisogna puntare sugli erbicidi che attualmente sono ammessi solo dove non si può intervenire meccanicamente. Utilizzando, invece, gli erbicidi di tipo residuale, le malerbe sarebbero eliminate direttamente nel terreno al momento della loro germinazione. Applicando gli erbicidi tra febbraio e marzo, gli oliveti non si inerbirebbero per 4-5 mesi».
E quale sarebbe l’effetto?
«Meno malerbe che possono ospitare le sputacchine, meno possibilità di diffusione della Xylella. Questi erbicidi bisognerebbe applicarli, se non a tutto campo, almeno in modo localizzato sotto i tronchi degli ulivi, dove è necessario intervenire manualmente con le zappe ( che comporterebbe dei costi elevati) Bisognerebbe innovarsi, attraverso l’uso della tecnologia. Da escludere invece è l’uso del pirodiserbo: si tratta di un’opzione costosa e dannosa dal punto di vista agroecologico, perché uccide non solo la sputacchina ma tutti gli altri insetti, compresi quelli utili».
A livello legilsativo invece come bisognerebbe operare?
«Se io fossi ministro dell’Agricoltura affiderei a un’istituzione di grande rilievo scientifico come l'Accademia dei Georgofili di Firenze. In concreto, al Presidente dell’Accademia potrebbe essere assegnato il compito di fungere da “generale” per formare una squadra di scienziati e ricercatori ben articolata, con l’idea di “riprogettare” un piano più efficace per fronteggiare l'epidemia e ridurne il più possibile l’avanzamento; programmare delle ricerche nel campo dell’ingegneria genetica, ricercando un gene di resistenza alla xylella da inserire nelle piante di olivo, in modo da costituire una varietà di olivo “resistente” e non solo “tollerante”. Il costo economico, senz’altro importante, deve essere, come promesso, sostenuto dalla UE che pare abbia recepito che il batterio non è un pericolo “soltanto pugliese”. Ad oggi, le aree infette sono anche in Corsica nelle Baleari e in Portogallo. Da non tralasciare che spandendosi sempre più a nord, il pericolo potrebbe allargarsi ai ciliegi ed ai mandorli, ambedue suscettibili a questo tipo di xylella che porterebbe inevitabilmente alla desertificazione della nostra flora».