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Il gigolò insiste: fari
sulla diocesi di Tursi

 
Il gigolò insiste: fari sulla diocesi di Tursi

Nuovi casi dopo la sospensione di due sacerdoti

Lunedì 09 Aprile 2018, 09:48

09:49

«Se non avessi creato lo scandalo, quasi certamente la Chiesa non avrebbe mosso un dito». Francesco Mangiacapra torna all’attacco. L’autore del dossier sulla rete di preti gay, dopo la sospensione di due sacerdoti da parte dei vescovi delle diocesi di Tursi – Lagonegro e di Tricarico, rivela di avere altro materiale nel «cassetto», oltre a quello già diffuso. «Sì, ci sono altri casi che per il momento non ho ancora comunicato perché la mia non vuole essere una persecuzione, ma ho voluto solo aprire un dialogo – dice il 30enne avvocato campano che non ha mai nascosto il mestiere di gigolò -. Resto in attesa di vedere qual è la reazione. Voglio capire se queste persone hanno intenzione o meno di risolvere il problema, evitando ulteriori notizie dannose per la Chiesa».

In Basilicata il fenomeno come si presenta, secondo le sue informazioni?

«Come nel resto d’Italia, quello che è venuto fuori è solo una parte. Anche nella vostra regione ci sono altri casi di omosessualità tra religiosi che riguardano soprattutto la diocesi di Tursi – Lagonegro che in assoluto è la più coinvolta tra le diocesi italiane che ho conosciuto».

Di queste ore la notizia della sospensione dei due sacerdoti lucani da lei elencati nel suo dossier...

«La notizia mi ha quasi commosso, ma i vescovi ho dovuto sollecitarli io: se non avessi reso pubblico il fatto non sarebbe successo niente».

Ora cosa si aspetta?

«Se c’è un provvedimento forse sarebbe il caso di rendere pubblica anche la motivazione, perché se si continua a mantenere il silenzio sulla vicenda, il rischio è che la comunità si senta ulteriormente fuorviata».

È stato contattato da qualche vescovo?

«No, ma se qualcuno lo farà sono ben disponibile a collaborare e a fornire anche chiarimenti».

Quali saranno, secondo lei, gli effetti della vicenda?

«Credo che si sposteranno le pedine ma alla fine non cambierà granché. La differenza che sfugge anche a molti esponenti del clero è che fare il sacerdote non è un lavoro, bensì una vocazione. Il sacerdote non esaurisce il suo compito col dire messa, poi non puoi uscire e fare i comodi tuoi».

Lei non lancia accuse né tratta l'omosessualità alla stregua di un crimine…

«Assolutamente no. Cerco di sollecitare queste persone a fare un mea culpa relativo alla compatibilità tra il colletto bianco che indossano e la condotta che incarnano».

Nessun intento punitivo o ricattatorio, dunque?

«Tutt’altro, sto agendo con l’intento di aiutare queste persone. Il problema non è l’omosessualità di questi preti, bensì l’autenticità della loro vocazione, il fatto che siano ipocriti. L’intento del mio dossier è evidentemente quello di offrire l’occasione a queste persone di riscattare quella libertà che non hanno trovato il coraggio di concedersi. La eventuale riduzione allo stato laicale dovrebbe essere considerata per loro non una punizione bensì un’opportunità per vivere serenamente la propria vita. Auspico che queste persone riflettano e lo facciano in maniera onesta e sincera con se stessi, lasciando anche l’abito talare se necessario». [p.per.]

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