FOGGIA - «Correva l'anno 1622. Il parroco, Don Santo De Santis di ritorno da Roma, dove partecipò alla canonizzazione di San Filippo, trovò la sua Roseto imbiancata». Quello che appare come l'incipit di un racconto letterario a sfondo religioso, è in realtà un post su Facebook pubblicato da don Stefano Mercurio Tronco, parroco della chiesa Madre di Roseto Valfortore. Uno dei riconosciuti «Borghi più belli d'Italia», dallo stemma biancorosso simbolo del conservato patrimonio, i cui ottocento abitanti mostrano umilmente orgogliosi l'anima a 650 metri di altezza nel mosaico paesaggistico del Subappenino dauno.
Nella cittadina che deve il suo nome alla terapeutica Rosa canina di cui è piena nella sua fitta serra a cielo aperto, adornata dai boschi, in questi giorni sono in atto i festeggiamenti per i quattrocento anni della canonizzazione del presbitero ed educatore del XVI secolo Filippo Neri. Alla devozione locale per il Santo che nella città eterna ricevette l’appellativo di «secondo apostolo di Roma» (per la volontà con cui cercava di riportare sulla retta via una città sempre più corrotta), il trentaseienne parroco Tronco tributa una sua fotografia che evidenzia la coincidenza meteorologica. Così come quattrocento anni fa c'era la neve quando Santo De Santis tornò a Roseto dalla canonizzazione romana di Filippo Neri (il 12 marzo del 1622), così il suo «erede» all'altare don Stefano si ritrova in un paese imbiancato dai fiocchi caduti in questo weekend sulle vette di Puglia. Nel quadro soffice il prete nativo di Serracapriola mostra il sorriso compiaciuto della convergenza storica. Sarà probabilmente orgoglioso di lui l'«avo» De Santis (presente in qualche sfera celeste, chissà si sorprenderà della diavoleria di Facebook) il quale, quando tornò dalla Capitale, quattro secoli fa, portò con sé alcune reliquie ed una di esse è situata nella statuetta in legno esposta al culto e ritenuta miracolosa dai rosetani.
L'Arciprete fece poi regalo della sua casa, che fu trasformata in chiesa e aperta al culto il 9 febbraio del 1625. E se non fosse per l'edicola votiva con l'immagine di San Neri posta in facciata e del sovrastante piccolo campanile a vela, non si direbbe di essere di fronte ad una chiesa. L'origine civica dell'edificio, che fu un’abitazione fino al 1623, quando il proprietario arciprete la donò ai rosetani, è denunciata dalla presenza di un balcone, da cui ogni 26 maggio, per i festeggiamenti popolari, va in scena la «Cuccagna», quando si lanciano il pane benedetto, pezzi di formaggio, fave e cipolline; mentre da un catino in legno, posto sotto il balcone della chiesa-oratorio, esce prima del latte e poi del vino. Questa antica tradizione trovava la sua ragione d'essere nella volontà di garantire anche agli indigenti un pasto nel giorno del patrono, la cui statua è custodita proprio in questa piccola e singolare chiesa. San Filippo Neri, infatti, viene ricordato soprattutto per la dedizione che riservò a poveri e abbandonati, che accudiva amorevolmente.
In occasione dei festeggiamenti giubilari per il Patrono (promossi da congrega e comitato San Filippo Neri, e dalla parrocchia «Santa Maria Assunta») sarà possibile acquistare una rosa rossa presso la sacrestia della Chiesa Madre che ogni singolo, famiglia, associazione, donerà a San Filippo e che sarà riconsegnata a ciascuno il 12 marzo 2022 a ricordo del lieto evento. La data rievoca la canonizzazione di colui che fu ribattezzato dai fedeli il «Santo della gioia». Restano memorabili alcuni suoi detti sarcastici, quali lo «State buoni se potete» (titolo del film della sua vita che oggi alle 18 verrà proiettato alla Chiesa Madre) o il «Ma va’ a morì ammazzato… per la fede». Un prelato plebeo per quei tempi in cui in Europa si scatenarono lotte cruenti come effetto della Riforma. Quattrocento anni dopo, in un piccolo borgo della provincia foggiana, il suo parroco mostra la sua fede imbiancata. Un colore neutro, da opporre idealmente al rosso sangue che schizza follemente in Ucraina.