Nei giorni scorsi ho depositato un’interrogazione parlamentare al Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti per accendere un faro su una situazione che ritengo particolarmente grave: l’aumento esorbitante dei prezzi dei trasporti, in particolare sulle tratte interne verso il Sud e le Isole nei giorni del Natale.
Ho raccolto e condiviso allarmi e suggerimenti di sindaci, amministratori e tanti cittadini che vivono in altre regioni del Paese e desiderano tornare a casa almeno per le festività natalizie. Secondo rilevazioni recenti di associazioni dei consumatori come Altroconsumo e Codacons, nel 2025 i biglietti aerei, ferroviari e marittimi hanno registrato rincari che arrivano fino al 700%, e in alcuni casi persino al 900%, rispetto ai periodi di bassa stagione.
Emblematici i casi dei voli tra Milano e città come Catania o Palermo, dove un biglietto di andata e ritorno può superare facilmente i 400 euro. Oggi un biglietto di treno Roma-Rosarno, arriva a costare 259 euro. Un paradosso che merita di essere sottolineato: nello stesso periodo, spesso risulta più economico volare verso una capitale europea che rientrare nella propria regione di origine nel Mezzogiorno. Questi aumenti sono il frutto di meccanismi di «pricing dinamico» che, in assenza di limiti o correttivi, fanno crescere i prezzi al crescere della domanda. Un sistema che, applicato alla mobilità interna, finisce per trasformarsi in una vera e propria barriera economica, colpendo soprattutto studenti e lavoratori fuorisede, cioè coloro che più avrebbero bisogno di poter contare su collegamenti accessibili per mantenere legami familiari e affettivi.
Non è un caso che la maggioranza dei fuorisede provenga dal Sud e dalle Isole. I dati parlano chiaro: secondo SVIMEZ, tra il 2022 e il 2024 ben 175 mila giovani tra i 25 e i 34 anni hanno lasciato il Mezzogiorno, in gran parte laureati; l’ISTAT registra che solo nel biennio 2023-2024 circa 241 mila persone si sono trasferite dal Sud al Centro-Nord, mentre negli ultimi ventitré anni oltre 2,7 milioni di cittadini hanno compiuto lo stesso percorso.
Una mobilità spesso necessaria, talvolta forzata, figlia di un divario territoriale che continua a crescere. A rendere il quadro ancora più critico c’è la questione dei redditi: nel 2023 il reddito medio pro capite delle famiglie del Mezzogiorno era circa il 30% più basso rispetto a quello delle famiglie del Centro-Nord. È evidente che, in questo contesto, rincari così elevati sui trasporti producono un effetto discriminatorio, comprimendo di fatto il diritto alla mobilità e aggravando le disuguaglianze sociali e territoriali. Le conseguenze non sono solo economiche.
La difficoltà di rientrare durante le festività o nei momenti di bisogno incide anche sul welfare familiare: genitori anziani o fragili che restano soli, figli costretti a rinunciare alla presenza fisica nei periodi critici, un aumento di stress psicologico e di isolamento sociale che il nostro Paese, già segnato da una profonda crisi demografica, non può permettersi.
Da anni in Italia si dibatte di spopolamento delle aree interne, di crisi demografica, di migrazioni interne, di discriminazione territoriale: poi nella sfida di permettere il ritorno a casa almeno per il Natale, non c’è nulla di concreto. Garantire il diritto alla mobilità non è un privilegio né una concessione: è una condizione essenziale per la coesione del Paese.
Continuare a tollerare che tornare a casa per Natale diventi un lusso significa accettare che le disuguaglianze territoriali si approfondiscano ancora. Ed è una responsabilità che la politica non può più eludere.
















