Mercoledì 24 Dicembre 2025 | 16:47

La forza inclusiva sprigianata dai simboli della Natività

La forza inclusiva sprigianata dai simboli della Natività

 
nunzio smacchia

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nunzio smacchia

La forza inclusiva sprigianata dai simboli della Natività

Quest’anno non ci sono state polemiche da parte dei rappresentanti di altre religioni sulla eliminazione del crocifisso e del presepe, a dimostrazione di una raggiunta maturità etnico-religiosa

Mercoledì 24 Dicembre 2025, 13:31

Fortunatamente quest’anno non ci sono state polemiche e contestazioni da parte dei rappresentanti di altre religioni sulla eliminazione del crocifisso e del presepe, a dimostrazione di una raggiunta maturità etnico-religiosa. Si è finalmente compreso che la religione con i suoi emblemi è una delle grosse opportunità per i residenti stranieri d’integrarsi e di convivere, perché gli italiani, i cristiani, non devono rinunciare a sé stessi, ma neanche imporsi agli altri. Queste figure fanno da collante di identità culturali e non si deve avere alcun ritegno a esporli o a rappresentarli, consapevoli che sono scelte fatte nella rispettabilità di altre figure e di altre convinzioni. Non si tratta solo di adesione incondizionata, ma di storia, radici, tradizioni e cultura. Il crocifisso, ad esempio, che in passato ha causato tanti scontri rappresenta un elemento essenziale che accomuna tutti in una unità storica nazionale, non è solo un segno distintivo di un preciso credo religioso, ma l’immagine dei valori e dei principi cristiani e in quanto tale va rispettato anche dalle minoranze ospitate dal paese; è il conseguimento di una formazione spirituale e morale, è lo sviluppo della coscienza storica e di appartenenza alla comunità locale, nazionale e alla civiltà europea e mondiale. Disconoscere questa importanza sarebbe deviante, perché ripudierebbe la rappresentazione iconografica della spiritualità francescana, che invece va amata come significato di carità, sofferenza e amore. Anche il presepe contiene una carica notevole di umanità cristiana e proibirne la composizione per un malinteso senso di riverenza verso gli stranieri bloccherebbe il loro processo d’inserimento. Il presepe esprime un tratto caratteristico della civiltà cristiana e va compreso da tutti, o quanto meno rispettato. Sono passati secoli, sorgono e tramontano le mode religiose, ma lui, il presepe, resiste. Dopo l’«invenzione» di san Francesco a Greccio è ancora un baluardo, un riferimento attuale e indiscutibile per i fedeli. Chi non fa il presepe? Lo fanno tutti: dai più piccoli ai più grandi, perché è innato in noi, è una sorta di imprinting sacro, indelebile, tocca il cuore di tutti: vi sono rappresentati il bambino che nasce, la gente che va a rendergli omaggio e soprattutto configura la fraternità che ci unisce.

Una coralità espressiva ineguagliabile che oltrepassa gli animi, a prescindere dai meriti e dalle colpe, dalla vita virtuosa o dai peccati: Gesù nasce per ognuno di noi.

Un aspetto molto bello, toccante, che dovrebbe convincere tutti. Ma evidentemente non proprio tutti, tanto è vero che ci sono accuse di proibizione, di divisione e anche di offese. Si stenta a crederlo, in quanto il presepe è un componente identificativo della nostra sapienza e della nostra fede radicata. Se ne fanno di tutti i tipi: da quelli di arte, a quelli popolari e casalinghi. Si fa dappertutto, ma non è sentito come in Italia. In Francia, alcuni anni fa, è stato anche oggetto di liti giudiziarie. Se un musulmano o un cinese non comprendono il senso del presepe, difficilmente potranno intendere lo spirito cristiano del popolo che li ospita.

Il presepe è la configurazione dell’incontro tra il divino e l’umano e le scene della Natività insegnano a uscire dalla solitudine, suggeriscono un bisogno di prossimità, non solo verso un altro essere umano, ma anche verso Dio, che si fa vicino. Il presepe è la storia, è il racconto del Creatore che si è fatto uomo, pieno di amore a tal punto da farsi bambino, da compromettersi e da venire tra noi, infondendoci umiltà e propensione per gli altri. E Cristo non nasce chissà dove, o in un tempo lontano, ma è qui, in questa terra e fra la gente. Nella capanna di Betlemme si vive la quotidianità e si respira un profondo silenzio che dà pienezza all’esistenza umana. Uno dei più bei presepi è forse la Natività di Caravaggio, nella quale, in un cromatismo straordinario, Dio si fa luce e viene a illuminare i nostri cuori, a liberarci dalle contraddizioni e a redimerci. Il presepe, da Giotto a tutto il Rinascimento, si fa scena nella scena e la nascita di Cristo avviene nella semplicità della vita tra il pescivendolo, il calzolaio, il pastore, la donna con i bambini... Il divino, in sostanza, si mischia antropologicamente nella normalità e quotidianità della esistenza umana, a significare che il Natale è soprattutto accoglienza e solidarietà e a far riflettere che è in gioco un evento dall’enorme importanza per la fede cristiana della storia umana. È la gioia del Lieto Evento. Per gli studiosi dell’Islam nel Corano, nel capitolo dedicato a Maria, si parla della nascita di Gesù e non si vede perché il presepe in una scuola multietnica e multireligiosa non debba essere presente. È una forma di arricchimento, di crescita interiore che avviene nell’ambito della diversità; il fine deve essere la coesione sociale. Per gli ebrei il Messia è «colui che è venuto per servire» ed è il messaggio più dirompente del Natale. Rappresentare la Natività, dunque, è un fatto comunitario, che accoglie e non esclude; la voce del presepe sa parlare a tutti e va onorato e apprezzato per i suoi contenuti e non deve diventare strumento di divisione e discordia.

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