Il fantasma della Lombardia sembra destinato a inquinare il clima politico nella maggioranza nell’anno e mezzo che ci separa dalle elezioni politiche. Nella regione più importante d’Italia si voterà nella primavera del 2028, quando già sapremo da un anno quale sarà il nuovo governo nazionale. Considerati i tempi e i modi della politica italiana, tra anni luce. Eppure , il ritorno della parola «celodurismo» coniata quasi trent’anni fa da Umberto Bossi, lascia immaginare che almeno una parte della Lega abbia di nuovo indossato la corazza di Alberto da Giussano.
Massimiliano Romeo è il bravo presidente dei senatori leghisti. Ma soprattutto Romeo da un anno è il segretario della Lega Lombarda, eletto per acclamazione dopo il ritiro di Luca Toccalini sostenuto da Matteo Salvini. Romeo fa parte della scuola «Mai la Lombardia a Fratelli d’Italia», nonostante la cessione (opportuna) del Veneto alla Lega abbia fatto siglare da Salvini e Meloni un gentlemen agreement per cui la Lombardia dovrebbe andare al partito di maggioranza (si dice con la presidenza di Ettore Prandini, capo di Coldiretti) tuttora assente nella guida delle regioni del Nord.
Eppure nella vicenda delle pensioni che per qualche secondo ha rischiato di mettere virtualmente in crisi il governo, gli attori principali sono stati altri, Claudio Borghi e Claudio Durigon con la copertura politica di Matteo Salvini. La rimodulazione pensionistica ci era stata chiesta dall’Europa e Giancarlo Giorgetti, d’accordo con il ragioniere generale Daria Perrotta, ha ritenuto di applicarla nell’arco del percorso virtuoso ci che sta portandoci fuori dalla procedura di infrazione con enormi vantaggi per il debito pubblico e gli interessi da pagare.
Di qui l’accusa politica di Salvini a Giorgetti di privilegiare gli interessi dello Stato rispetto a quelli del partito. Vecchia storia, che si ripete dei tempi del governo Draghi. Giorgia Meloni è intervenuta per rimettere le cose a posto. Nessuna sfuriata con Salvini, con cui mantiene un buon rapporto personale, ma lo sfogo di chi essendo rientrata da Bruxelles forte di un imprevisto successo diplomatico, si è trovata una grana del genere quando ancora era sul volo di rientro. L’assoluzione di Salvini dal processo Open Arms (esiste un giudice anche a Roma…) lo ha penalizzato sul piano della propaganda, ma gli ha potenziato la forza politica. Dovremmo dunque aspettarci un anno di gomitate tra lui e Antonio Tajani, forte di un successo di Forza Italia che nessuno si aspettava, ma non appoggiato interamente dalla famiglia Berlusconi in nome di un non ancora meglio precisato «rinnovamento». L’illusione che di qui è la primavera del 2027 possa prodursi una crisi di governo è, tuttavia, un’illusione. Anche sulla vicenda dei rifornimenti di armi all’Ucraina del 2026 che sarà approvata dal Consiglio dei ministri del 29 dicembre, aldilà di qualche accomodamento «doroteo», non ci saranno variazioni. La Lega sarà disciplinata e voterà con gli alleati, come sempre ha fatto. I cronisti parlamentari che auscultano il pavimento dei Palazzi per capire se gli zoccoli dei cavalli di Giuseppe Conte avranno intanto cambiato ritmo, potranno starsene tranquilli per l’intero anno prossimo. Solo quando i panettoni del Natale 2026 saranno venduti a prezzi di saldo nei supermercati, sapremo se e a quali condizioni Conte avrà deciso di allearsi con Elly Schlein…
















