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Israele ha scelto di non subire più nuove minacce

 
Biagio Marzo

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Biagio Marzo

Israele ha scelto di non subire più nuove minacce

Non c’era più tempo. Teheran correva verso la bomba atomica e Israele ha agito. Hic et nunc. Nessuna attesa, nessuna ambiguità diplomatica

Martedì 17 Giugno 2025, 13:30

Non c’era più tempo. Teheran correva verso la bomba atomica e Israele ha agito. Hic et nunc. Nessuna attesa, nessuna ambiguità diplomatica. L’operazione militare ha colpito depositi missilistici, fabbriche di droni, arsenali e infrastrutture energetiche. Ma, soprattutto, ha decapitato i vertici militari, i Pasdaran e il gotha degli scienziati nucleari.

Nel consueto gioco delle parti, Donald Trump e Benjamin Netanyahu hanno recitato alla perfezione i ruoli del «poliziotto buono e poliziotto cattivo». Washington ha simulato un negoziato a Muscat, in Oman. Ma il copione era già noto: nel 2018 Trump ritirò gli Stati Uniti dall’accordo nucleare, giudicandolo troppo debole. Aveva visto giusto. L’Iran ha continuato ad arricchire uranio, come confermato dall’AIEA. Quando è apparso chiaro che Teheran prendeva tempo, Israele ha sorpreso tutti.

Ha anticipato, colpito, agito. Una bomba atomica nelle mani del regime degli Ayatollah avrebbe riscritto gli equilibri regionali. Israele si sarebbe trovato accerchiato da un potere teocratico con obiettivi dichiarati: distruggere lo Stato ebraico – «entità sionista» nella vulgata iraniana – cancellare il popolo ebraico, occupare Mecca e Medina, cacciare gli Stati Uniti dal Medio Oriente. Teheran, pur colpita, rilancia. Minaccia Washington, Parigi, Londra: «Se interverrete, colpiremo le vostre basi».

È un messaggio chiaro. Israele possiede la bomba, ma non la ostenta. È deterrenza, non provocazione. Il vero obiettivo è il cambio del regime a Teheran. Ma il regime change ha fallito altrove: Afghanistan, Iraq, Libia, Siria, Yemen. La «Primavera araba» ha prodotto più caos che libertà. E Netanyahu, dopo il pogrom del 7 ottobre, non ha ancora liberato tutti gli ostaggi. Hamas è piegata ma non sconfitta. Restano gli Houthi. Restano gli Hezbollah. Feriti, ma vivi.

In Occidente, i liberal democratici hanno tirato un sospiro di sollievo. I pacifisti – o, meglio, i panciafichisti – hanno alzato la voce. Prima in difesa di Gaza, con ragioni legate all’ecatombe di civili, ma col torto grave di aver taciuto dopo il 7 ottobre. Ora, sostengono il regime teocratico di Khamenei. Elly Schlein non ha mancato l’occasione per criticare Israele. Il Partito Democratico del Lingotto è solo un ricordo. Gli ex Margherita e gli ex Ds di scuola non massimalista e non wokista restano in silenzio. I riformisti si agitano – come dopo la disfatta referendaria – ma non incidono. Il vuoto resta. Alla compagnia si aggiungono i soliti: Giuseppe Conte, gran cerimoniere del cerchiobottismo, e la coppia Bonelli–Fratoianni. Sempre presenti. Sempre contro.

Ma cosa avrebbe dovuto fare Israele? Aspettare una nuova Shoah? Il popolo persiano, sia chiaro, merita rispetto: per la sua intelligenza, la sua civiltà, la sua umanità. Virtù che il regime degli Ayatollah soffoca con ferocia. In tutto questo, l’Europa è assente. Balbetta, invita alla «de-escalation», ma non incide. Israele ha già fermato chi puntava all’atomica: l’Iraq, la Siria, oggi l’Iran. La lezione è chiara: mai più 7 ottobre. Mai più sorprese. L’Antico Testamento predica «occhio per occhio». Il Vangelo invita a «porgere l’altra guancia». Ma quando uno Stato è minacciato nella sua esistenza, non è tempo di teologia. È tempo di sopravvivenza. E Israele ha scelto.

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