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L’eredità di Francesco e la grande partita nella Cappella Sistina

 
francesco alicino

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L’eredità di Francesco e la grande partita nella Cappella Sistina

Oggi come ieri s’impongono al di qua e al di là delle mura vaticane. Che, nel caso di specie, assurgono a metafora dei confini identitari della più vasta e variegata comunità ecclesiale

Giovedì 08 Maggio 2025, 13:10

È il 26 aprile 2025, i rintocchi della campana romana di Santa Maria Maggiore accolgono l’arrivo del feretro di Francesco. Lo fanno dopo che una folla estesa di persone gli ha dato l’ultimo saluto. Con loro tanti leader mondiali, la cui presenza ha attribuito ai funerali il tono di importanti incontri internazionali. Calato il sipario sull’esperienza terrena del Papa venuto dalla fine del mondo, spetta ora a 135 maschi celibi scegliere il suo successore. Lo devono fare attraverso il voto che, dato sotto la volta affrescata da Michelangelo, è disciplinato da norme conclavarie e dall’infallibile fabbrica dei fatti. Oggi come ieri s’impongono al di qua e al di là delle mura vaticane. Che, nel caso di specie, assurgono a metafora dei confini identitari della più vasta e variegata comunità ecclesiale, rispetto alla quale l’Occidente si scopre non più detentore delle chiavi demografiche del cattolicesimo mondiale.

La sua popolazione è composta da circa 1.406 milioni di persone. La quota maggiore spetta all’America del Sud (27,4%). In particolare al Brasile che, da solo, conta 182 milioni di fedeli (circa il 13%). Il doppio di quelli presenti nelle Americhe del Nord, ben più ricche e potenti sul piano geopolitico ed economico. Il continente asiatico, invece, rappresenta il 10%, prevalentemente concentrato nelle Filippine. In questo scenario l’Europa vede ospitare il 20% di adesioni, quota ancora ragguardevole, certo, ma decisamente ridimensionata in prospettiva storica. All’inizio del Novecento, infatti, i cattolici europei erano i due terzi della totalità, molti dei quali ferventi praticanti. Non lo erano cioè per sole congiunture famigliari, educative e culturali, come accade oggigiorno in molti Paesi occidentali, compresa l’Italia. Dove i più si dichiarano naturalmente cattolici anche se, con altrettanta naturalezza, affermano di non essere assidui frequentatori dei precetti, delle regole e dei luoghi del cattolicesimo ufficiale. S’aggiunga che, sotto quest’aspetto, la situazione s’è ulteriormente complicata negli ultimi anni, come del resto dimostrano le difficoltà del pontificato bergogliano sin da suoi inizi nel 2013.

Succedendo a Benedetto XVI, primo Papa emerito della storia moderna e contemporanea, Francesco si trova in particolare a fronteggiare l’illegalismo organico, le pseudo-polizie segrete e gli incorreggibili falsari. Nella maggior parte dei casi sono interni all’ordine ecclesiastico, non esclusi i vertici. Pedofilia, Vatileaks e finanze del solito Ior lo testimoniano apertamente. Seguono le riforme strutturali. Molte sono imposte dal Papa motu proprio. Riguardano la Chiesa, la Santa Sede e lo Stato della Città del Vaticano. Un processo riformatore che, ancora in fase di implementazione, vuole anche rispondere ai condizionamenti di un mondo alle prese non tanto e non solo con un’epoca di cambiamenti, «quanto con un cambiamento d’epoca». Quello segnato da crisi globali in ambito ambientale, energetico, tecnologico, immigratorio, commerciale e militare. Lo riferiscono, tra le altre, la tendenza a «costruire muri al posto di ponti» e la «terza guerra mondiale a pezzi» nonché «lo scarto dei poveri»: situazioni tragiche e penose che, dalle Americhe, passando per la Terrasanta e l’Africa, giungono fino ai confini dell’Unione europea solcando i territori ucraini. Ed è qui che si inserisce il dibattito sull’eredità di Francesco, un Papa tanto amato quanto contestato in vita, ma ancor di più in questi giorni. In cui le interpretazioni sulla sua opera si collegano con la geografia del Collegio cardinalizio, specchio per molti versi della visione bergogliana del governo della Chiesa.

Nei suoi 12 anni di pontificato, Francesco ha difatti nominato 108 cardinali portando il Collegio a 252 membri, di cui 135 elettori, salvo defezioni: non avendo compiuto 80 anni, possono partecipare alla designazione del successore di San Pietro. Lo scarto numerico rispetto al limite di 120 elettori, come stabilito da Paolo VI nel 1975, sembra sottolineare l’intento di Francesco di influire sulle scelte future, in particolare sul processo riformatore da lui stesso promosso. Fatto sta che, nella scelta, Bergoglio ha privilegiato la provenienza dei potenziali neo porporati e il loro concreto operato. Il risultato è un Conclave con molte persone che non si conoscono, volti anonimi anche per l’alta burocrazia vaticana. Ciò si riflette sull’operatività di alcuni influenti cardinali, alcuni dei quali staranno fuori dalla cappella Sistina per limiti anagrafici. Circostanze queste che, d’altra parte, esaltano il ruolo delle Congregazioni generali pre-Conclave, presenziate anche da porporati ultraottantenni. La previsione è che quanto più si allungheranno i tempi di queste riunioni, tanto meno dureranno le operazioni elettorali in Sistina; anche per non dare l’impressione di una Chiesa che, ai vertici, sponsorizza latenti divisioni e marcate conflittualità. Come quelle sottolineate da lobby e gruppi di pressione che, interne ed esterne alla Santa Sede, aspirano alla carica di tessitori di reti ecclesiali nel Collegio cardinalizio, mai così globalizzato e disomogeneo.

Occorrerà allora cercare «un nucleo di coagulo tra le interpretazioni dell’eredità di Francesco e le spinte delle diverse aree culturali e geografiche dei cardinali», afferma un profondo conoscitore del mondo cattolico. Bisogna cioè individuare un uomo che «rappresenti la sintesi o almeno un punto di sintesi» fra spinte riformatrici e continuità con la tradizione. Come, in fin dei conti, è stato il pontificato di Francesco, connotato da una sorta di immutabilità relativa: grande apertura su alcuni temi, ma senza per questo rompere con la fissità e il peso di storici punti di insediamento propri della dottrina ecclesiastica. Ciò spiega i motivi alla base delle divergenti posizioni verso un pontefice che, nel momento in cui ha acceso grandi speranze in molti, ha finito per tradire le aspettative di altri. E questo vale anche per i detentori delle macchine normative statali. I quali, va detto, non sempre si rapportano alla religione con spirito di laico e costruttivo raziocinio. Al contrario, spesso la utilizzano come serbatoio di astuzie persuasive dirette a manipolare il pensiero dei consumatori e a polarizzare la società per meri fini di consenso popolare. Lo dimostrano, tra gli altri, i vangeli e i rosari sventolati durante i comizi, inclusi quelli del noto Ministro padano: lo stesso che, nel 2016, non rinuncia alla t-shirt con la scritta «il mio Papa è Benedetto» accompagnata da un’immagine poco lusinghiera di Bergoglio. A queste latitudini politiche non manca chi è convinto di esprimere la volontà del popolo incarnando la vera cultura cristiana. Su questa china cammina una buona parte dell’Italia di destra, di centro e di sinistra. Ma cammina anche l’Amministrazione d’Oltreoceano dove, ad esempio, l’astro nascente J.D. Vance si converte contemporaneamente al trumpismo e al cattolicesimo. Ed è così che, dopo essere stato allevato e sostenuto dai liberal americani, Obama e Biden compresi, lo vediamo elettoralmente foraggiato dai miliardari della Silicon Valley (Thiel, Musk, Zuckerberg, Bezos), come lui ex compagni della sinistra statunitense. Notare che la giravolta è avvenuta nel giro di pochi anni, durante i quali il baby catholic, come ama definirsi, trova anche il tempo di appropriarsi dell’Ordo amoris (L’ordine dell’amore) di Sant’Agostino, ridotto per l’occasione a defensor et protector della politica dei first e dei Maga (Make America Great Again) contro stranieri e immigrati. Di qui le reprimende che Francesco verga su una lettera indirizzata ai vescovi nordamericani il 10 febbraio 2025: «Il vero  ordo amoris  che occorre promuovere è quello che scopriamo meditando costantemente la parabola del Buon Samaritano (Lc 10, 25-37),  ovvero meditando sull’amore che costruisce una fratellanza aperta a tutti, senza eccezioni».

Il fatto che lo ha dovuto ricordare in un consesso di alti prelati occidentali dice molto dei tempi che corrono al di qua e al di là delle mura di Mater ecclesia.

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