Il funerale di Papa Francesco offre una duplice chiave di lettura: una religiosa e una geopolitica. Da un lato, l’evento ha riaffermato la centralità del cristianesimo cattolico a livello mondiale, mostrando come, in un’epoca segnata dal nichilismo - tanto populista quanto sovranista - credenti e non credenti continuino a cercare un punto di riferimento stabile e credibile. Dall’altro, il funerale è stato anche un’occasione per ricompattare l’Occidente, dopo le tensioni sorte dalle posizioni anti-europee di Donald Trump, e per ribadire la necessità di non lasciare campo libero a Vladimir Putin, soprattutto alla luce di un atteggiamento statunitense percepito da molti come ambiguo o compiacente verso la Russia.
In questo scenario si inserisce il colloquio all’interno della Basilica di San Pietro tra Trump e Zelensky, avvenuto dopo un confronto informale e privo di fair play alla Casa Bianca. L’atteggiamento di Trump in quell’occasione è stato oggetto di discussione, dato che si trovava di fronte a un capo di governo impegnato a difendere il proprio Paese dall’aggressione russa iniziata il 24 febbraio 2022. Un’aggressione rispetto alla quale gli Stati Uniti non sono esenti da responsabilità, avendo nel tempo incoraggiato l’Ucraina ad avvicinarsi alla Nato. In realtà, dalla caduta del comunismo, gli Stati Uniti hanno adottato una politica ambigua di espansione della Nato verso Est, violando di fatto il cosiddetto «patto tra gentiluomini» - mai formalizzato ma riconosciuto - tra Bush padre e Gorbaciov, secondo cui la Nato non si sarebbe spinta verso i confini russi. Ragion per cui, è necessario vedere il bicchiere sia mezzo pieno che mezzo vuoto.
Zelensky non può continuare a trovarsi nella posizione scomoda di «vaso di coccio tra vasi di ferro», schiacciato tra le superpotenze di Stati Uniti e Russia. Allo stesso tempo, Trump non può attribuire tutte le responsabilità dell’invasione russa all’Unione Europea, quando in realtà le colpe sono da spartire tra amministrazioni statunitensi sia repubblicane che democratiche. Lo stesso Trump, infatti, ha sostenuto l’Ucraina, inviando armi per la sua difesa contro la Russia, nel suo primo mandato. Tuttavia, il suo atteggiamento ricorda quello di Biden in Afghanistan: in quell’occasione, da un giorno all’altro, americani - militari e civili - lasciarono Kabul, abbandonando la popolazione afghana ai talebani. Putin, prendendo al volo il caso Afghanistan in cui gli Usa dimostrarono confusione e incapacità nella regia nella evacuazione, fece partire l’aggressione all’Ucraina.
Il timore, ora, è che Trump possa replicare la stessa politica, lasciando gli ucraini alla mercé criminale di Putin. Il quale Putin continua la sua escalation militare sull’Ucraina, infischiandosene anche di Trump la cui affermazione, «mi sta prendendo in giro», non è stata presa in considerazione. Insomma, la guerra continua con Putin violento più di prima. Così come non tenne alcun conto dei protocolli di pace di Minsk 1 e 2 - 2014 e 2015- firmati con gli ucraini, tant’è che invase la Crimea.
Beninteso, tutto questo succede nel contesto in cui Putin dichiara che è pronto a «riprendere i colloqui con Kiev senza condizioni preliminari». Vero o no, i civili ucraini sono gli obiettivi bombardati dei russi.
In questo quadro si inserisce anche il prossimo Conclave, in cui i cardinali, 135 aventi diritto al voto su un totale 252, saranno chiamati a eleggere il successore di Papa Francesco. Una scelta tutt’altro che semplice, dopo un pontificato che ha lasciato dietro di sé numerose riforme - molte delle quali rimaste incompiute - e non poche divisioni. La dialettica sarà probabilmente tra chi vorrà proseguire nel solco tracciato da Francesco e chi invece spingerà per un ritorno alla tradizione conservatrice. Sarà un braccio di ferro, che solo il buon senso potrà trasformare in un’occasione di riconciliazione tra le diverse anime della Chiesa.