Sabato ho partecipato all’inaugurazione dell’Anno Giudiziario presso la Corte d’Appello di Bari, una cerimonia animata, quest’anno, a causa dei lavori in Parlamento sulla riforma della separazione delle carriere.
Quando il viceministro Sisto ha preso la parola, i magistrati tra il pubblico hanno abbandonato l’aula, non - ritengo - come gesto contro la persona, ma contro una riforma che ritengono inadeguata, come evidenziato dagli interventi, pacati ma fermi, del Presidente Cassano e del Procuratore Generale de Castris. Sono rimasto in aula, pur non condividendo la riforma, e ho ascoltato un discorso del Governo che ho trovato troppo politico. Ho sentito dire che si stanno rispettando le regole, ma blindare il provvedimento come ha voluto il Ministro Nordio senza accogliere emendamenti è una forzatura. La Costituzione è di tutti, e la maggioranza, salita al governo con il consenso del 28% degli aventi diritto al voto, rischia di approvare una riforma invisa a molti cittadini.
Ho sentito dire che il Parlamento ha i poteri per legiferare e che si vedrà se la riforma andrà bene agli italiani con il referendum, ma è evidente che sta solo votando ciò che ha deciso il Governo, poiché non ha emendato nulla. Non lavorare con le minoranze per una riforma condivisa è una grave mancanza: la Costituzione va cambiata con un dibattito costruttivo.
È stato detto che i magistrati - uscendo dall’aula - hanno perso un’occasione per ascoltare: a me sembrava una protesta civile. La separazione delle carriere, già praticamente in atto (50 passaggi in media in totale all’anno), non migliorerà la giustizia, ma aumenterà l’influenza politica con la creazione di due Csm. Chi governa avrà un forte peso nella scelta della maggioranza dei componenti laici, rafforzando il controllo politico su un potere che dovrebbe restare indipendente.
Mi chiedo perché fare una riforma che non porta vantaggi, se non come premessa ad altre modifiche. La separazione delle carriere era citata nel manifesto della P2 e potrebbe preludere alla rimozione dell’obbligatorietà dell’azione penale e al controllo dei PM da parte di un Ministero, come avviene in Paesi dove le carriere sono separate. Questo aumenterebbe il rischio di indirizzare le indagini, danneggiando l’indipendenza della magistratura. In un’intervista, il ministro Nordio ha definito il PM un «super poliziotto» con «troppa discrezionalità», aprendo scenari preoccupanti. Il capogruppo della Lega alla Camera, Molinari, ha detto mesi fa che bisogna rivedere i poteri dello Stato «con la separazione delle carriere, rivedendo l’obbligatorietà dell’azione penale, pensando a un ruolo diverso del PM, che in altri Paesi risponde alle direttive del Ministro della Giustizia»: ha cercato di rettificare, ma lo ha detto, segno che è lì che si vuole tendere, e il fatto che non sia stato approvato un ordine del giorno del M5S per impedire per sempre il passaggio dei PM sotto un ministero, significa che si vuole lasciare aperta questa possibilità.
Non accettare un emendamento che garantisca la parità di genere nei Csm è un altro segnale negativo, specie da parte di un governo guidato da una donna. Inoltre, non si capisce di quali «vincoli» tra giudicante e requirente si parli, dato che il 50% dei procedimenti termina con assoluzioni: se ci fosse un legame, quel dato sarebbe più basso.
Chiudo con una riflessione: il viceministro ha mostrato una Costituzione in formato A3, dicendo che era più grande di quella mostrata dai magistrati usciti, e che lui rispetta quella voluta da 58 milioni di italiani. La grandezza della Costituzione non sta nelle dimensioni fisiche della carta, ma nel lavoro collettivo di una assemblea costituente antifascista che l’ha generata e nell’applicazione per il bene comune. Quello che serve è accelerare i processi, ridurre la burocrazia e migliorare l’efficienza del sistema: questi sarebbero obiettivi concreti per una riforma della giustizia, mentre ciò che si sta facendo sembra mirato a rafforzare il controllo politico su un potere che dovrebbe restare autonomo e imparziale.