«Fluttua come una farfalla, pungi come un’ape». Era la frase che l’allenatore di Cassius Clay, il più grande campione della storia della boxe, ripeteva al suo ragazzo. 56 vittorie internazionali su 61 incontri, 37 concluse col ko dell’avversario. Cassius, diventato Mohamed Alì, non dava pugni. Danzava sul ring, si muoveva col passo da tip tap come in un film di Fred Astaire.
Alì è morto nel 2016, ucciso dal Parkinson che lo aveva accompagnato a tenere fino alla fine nella mano tremolante la fiaccola delle olimpiadi di Atlanta del ’96, ma la sua danza rimarrà nei libri di storia. Quella di un pugile, non di un ballerino, diventato simbolo dei diritti dei neri d’America e delle battaglie per la pace contro il napalm in Vietnam. Altri tempi, si dirà. Quelli nei quali il parlamento italiano non si trasformava in uno scalcagnato ring di provincia. Per carità, scene simili a quelle dei giorni scorsi sono accadute più volte nell’emiciclo sin dai tempi della prima Repubblica. Ma è bene riepilogare quanto accaduto perché, diversamente dai precedenti, temiamo che questa tragicomica scena da teatro dell’operetta non rimarrà a lungo nella memoria.
12 giugno 2024: il parlamentare leghista Igor Iezzi, classe ’75, corre verso il centro dell’emiciclo di Montecitorio per sferrare pugni dall’alto verso il basso contro Leonardo Donno, classe ’85, reo di aver aperto la bandiera tricolore in faccia al ministro Calderoli - e per questo subito accerchiato da aitanti aggressori - mentre erano in corso le votazioni sull’Autonomia differenziata. Iezzi, lombardo, segretario provinciale di Salvini e noto per essersi coperto con un burqa in un’assise locale per protestare contro «l’invasione dei musulmani» in Lombardia, fa il parlamentare, non il pugile. E certamente non avrà mai visto un incontro di Alì. Probabilmente, non sa cosa lo sport può insegnare alla vita: la disciplina, il rispetto dell’avversario, il sacrificio quotidiano per raggiungere l’obiettivo, l’umilità di correre nelle periferie da ragazzini per arrivare a misurarsi in una pista olimpionica da adulti, la gioia di oltrepassare l’ostacolo dopo mille pianti. Probabilmente, in vita sua, Iezzi non ha mai vissuto la gioia di Gianmarco Tamberi, classe ’92, che il giorno prima del ring in Parlamento ha saltato 2,37 metri di altezza alle Europee diventando campione olimpionico e abbracciando - attenzione, fasciato nel Tricolore! - un Capo dello Stato (Mattarella) più emozionato di lui e felice di salutarlo con quella bandiera addosso. Non sa, Iezzi, che i risultati - grandi o piccoli che siano - non si raggiungono mai con la rabbia, l’odio, il livore del pugno o del fucile, ma la gioia della danza, l’ebbrezza del volo, il sacrificio di un calcio al pallone con cui fare gol , la destrezza di un movimento con cui aggirare l’avversario. Quante cose potrebbe insegnare lo sport a chi si occupa di regionalismo differenziato...
La vicenda andata in scena alla Camera è durata poche ore, il tempo di comminare 11 inutili sanzioni ai presunti protagonisti di quell’indegna gazzarra e di passare all’esame della «Var» le scene dell’arena. Iezzi, diversamente da Tamberi o Sinner, non entrerà mai nei libri di storia nonostante la corsa da scalcagnato wrestler in giacca chiara verso l’«avversario» in quella che doveva essere l’agorà della politica italiana e lui ha pensato fosse un’agone. Ma quel gesto, degno di un parlamento messicano, la dice lunga su quel che resta oggi della politica e dei luoghi (da alcuni, pochi italiani, ritenuti ancora sacri) in cui la politica è chiamata a prendere delle decisioni. Luoghi nei quali la farfalla dovrebbe saper volare dentro la Costituzione e pungere come un’ape per riformarla, quando serve.
Sarebbe interessante ascoltare Iezzi sul valore dell’Autonomia differenziata, sullo statalismo che non funziona e il regionalismo che non decolla, sulle riforme-bandiera che il governo Meloni vuole portare a termine in fretta, prima che l’onda lunga del sodalizio col popolo (quello che ha confermato il suo incanto per Giorgia alle Europee) possa scemare. Sarebbe interessante chiedere conto al mancato pugile se quei colpi che voleva sferrare superando le barriere dei malcapitati commessi della Camera sia in grado di metterli, nero su bianco, in una proposta di legge, ad esempio, con cui sconfiggere il «rivale» Donno e le avverse idee dei Cinque Stelle.
Ma forse è chiedere troppo. Iezzi. Probabilmente, di questi temi - dattilografati in emendamenti e articoli di riforma sulle scrivanie di tutti i parlamentari - ne sa meno di un astante del bar di Galatina, dove il rivale Donno è nato. E, temiamo, ne sappia ben poco la stragrande maggioranza dei parlamentari eletti e chiamati, una volta conquistato l’assegno e il futuro vitalizio, a spingere il bottone (quando non tentano di menare pugni) per votare sì o no a secondo di quello che dice «il capo». Peccato che il «capo» supremo - la premier Giorgia Meloni - era a Borgo Egnazia, impegnata in un summit con i 7 grandi della Terra chiamati a decidere sui frammenti di Terza guerra mondiale in corso nel globo . E peccato che i «capibastone» a Roma volessero solo ottenere un voto da Iezzi, un semplice sì dal suo inutile, silente pulsante.
Ecco perché la boxe continua ad essere seguita da tanti appassionati, nonostante non ci siano più i Mohamed Alì, mentre alle urne - come dimostra l’ultimo election day - ci vanno sempre in meno. Ai tanti Iezzi gli si chiedeva solo di essere farfalla sulla riforme e ape sugli emendamenti da respingere. Ma lui, insieme ad un altro folto gruppetto, si credeva Alì. E, a giudicare dai video, ha pure sbagliato i colpi.