Fumata nera. All’assemblea di Acciaierie d’Italia Holding non si è presentato il socio di minoranza Invitalia avente il 38% di quote azionari, invece, quello di maggioranza Arcelor Mittal detiene il 62%. Il Cda avrebbe dovuto approvare un aumento di capitale di 320 milioni a cui gli azionisti avrebbero dovuto partecipare pro-quota entro il termine del 31 gennaio 2024 «ad un prezzo di sottoscrizione pari a 1 euro nominale per azione, con la precisazione che a ciascuna azione spetterà un diritto di voto secondo quanto previsto dall’articolo dello Statuto».
Una mossa a sorpresa, l’assenza di Invitalia, visto che proprio la parte pubblica ha interesse di mettere punto e a capo e daccapo per far riprendere la produzione a regime allo stabilimento siderurgico. Da tempo ridotta al minimo con un solo altoforno in produzione. Delle due l’una: o Invitalia vuole più tempo per formulare una proposta ad Arcelor Mittal o è impantanata nelle sabbie mobili e non sa come uscirsene. Consapevole altresì che «aleggia» una sorta di spada di Damocle sulla sua testa.
Fuor di metafora, potrebbe scattare un contenzioso legale dal privato e, davanti a questo rischio, il pubblico si muove con molta prudenza. In fondo, è la linea molto prudente del Ministro Raffaele Fitto rispetto al suo governo che spara a palle incatenale, parlando di nazionalizzazione. L’unica nazionalizzazione è stato l’esproprio della rete elettrica e di qui la nascita dell’Enel.
Dall’assemblea del 22, in cui c’è stato il nulla di fatto, adesso, si passa a quella del 28 dicembre alla viglia dell’incontro tra sindacati e governo a Palazzo Chigi del 29 prossimo venturo. A nostro sommesso parere, passerà in cavalleria il 2023 e il tormentone riprenderà il 2024. Con uno stabilimento in crisi profonda da punto di vista industriale e finanziario.
Arcelor Mittal e Invitalia sono, chiaramente, in difficoltà. Se Sparta piange, Atene non ride. Arcelor Mittal non è che navighi in buone acque, visto che ha chiuso molti siti siderurgici in diverse parti del mondo per posizionarsi definitivamente in India in cui sta crescendo il mercato dell’auto. In pochi anni è il terzo mercato mondiale, laddove i grandi dell’auto stanno investendo. Per di più sta giocando pesante, spregiudicatamente, sulla pelle di Taranto e dei lavoratori del siderurgico. Adesso ha preso di punta le aziende dell’indotto per aver causato danno economico ad Acciaierie d’Italia. Per inadempienze, per via degli scioperi dei lavoratori delle aziende, è scattato il diktat dei «vertici» che addebita «agli imprenditori i costi e le perdite, dirette e indirette, consequenziali alla ridotta prestazione e riserviamo ogni decisione sulla risoluzione dei contratti e sul riaffidamento dei servizi alla relativa scadenza». Così ha parlato la «voce del padrone», si ritorna al «padrone delle ferriere».
Taranto non si merita tante disgrazie economiche e politiche. Due facce della stessa medaglia, che potrebbe andare presto fuori corso.