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Se pure la violenza diventa un talk-show

 
Alessandra Peluso

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Alessandra Peluso

Se pure la violenza diventa un talk-show

I numeri di violenze sulle donne e di eliminazione della loro presenza restano drammaticamente elevati: traccia evidente di una società che ha fallito

Sabato 02 Dicembre 2023, 13:45

Non basta una giornata dedicata alla difesa delle donne da violenze. Non può bastare. Si parla da troppi anni di una questione prioritaria senza affrontarla con serietà. I numeri di violenze sulle donne e di eliminazione della loro presenza restano drammaticamente elevati: traccia evidente di una società che ha fallito. Il genere umano, le istituzioni, hanno fallito. Occorre comprendere che la società è fragile, ha cambiato veste, i soggetti coinvolti sono diversi, ma resta in comune l’umano: salvaguardare la dignità e la libertà di ogni donna, di ciascun essere umano è un dovere di ogni cittadino, dello Stato.

Siamo una società che vive di mode e paradossalmente siamo fuori moda. Non si è capaci di decifrare il silenzio, di guardare i propri figli, di ascoltarli. C’è sempre troppo da fare, bisogna lavorare per vivere e il tempo libero lo si dedica a chattare o a ricercare passatempi. Quando si riuscirà a fare silenzio? A osservare la natura, ad esempio, a passeggiare imparando ad apprezzare la luce, il sole che sorge o tramonta, a leggere una poesia, ad ascoltare musica che allieti l’anima, a osservare la bellezza. Non si conosce la bellezza pur vivendo in una terra che trasuda arte, e ogni pietra simboleggia cultura, passando dalla nascita del pensiero greco, lo splendore dell’impero romano, attraversando l’umanesimo, l’età dell’illuminismo fino a un black-out rappresentato dalla contemporaneità posta in crisi dai totalitarismi, successivamente da programmi politici che hanno sottostimato il valore della cultura.

Si vuole affidare tutto alla scuola, ma non può esserci un unico ponte di crescita per il bambino verso la vita adulta. Sussiste la famiglia, ci sono diversi attori sociali che potrebbero configurarsi quali guide che accompagnino l’adolescente nella sua formazione di libertà e responsabilità. Occorrono modelli, punti di riferimento e innanzitutto un cambio di mentalità. Mi perdonerete, puntualizzato da tempo, come tante altre voci nel deserto, spesso considerata stonata o da azzittire, è accaduto e ancora succede. Non bastano i «me too», le manifestazioni, gli slogan, i rumori, le immagini e le cronache che investono ogni programma.

Smettiamola! Ogni aspetto della vita è un talk-show. Educare al rispetto della persona, all’autonomia, alla responsabilità. Riconoscere il cambiamento della società, la radicale metamorfosi della famiglia.

Tuttavia, nel 2023 c’è chi forse non ha lo sguardo obiettivo su realtà che di fatto contrastano il cambiamento e famiglie che subiscono ancora il patriarcato: la considerazione della donna era ed è vista come qualcosa da controllare, un oggetto da possedere, un essere inferiore che non deve permettersi di mostrarsi al pari dell’uomo. Deve stare zitta e soccombere. Ci sono stati i movimenti femministi perché siano riconosciuti i diritti, l’unico fra tutti dire «no» al maschio. Questo «no» che ad alcuni non piace perché impera ancora il cattivo odore del «maschilismo», del maschio che non accetta che dall’altra parte ci possa essere qualcuna che vale di più e che dice le cose meglio. E allora, basterà il film di Paola Cortellesi a far prendere coscienza agli uomini e alle donne che non solo un voto può mutare il pensiero, non sono sufficienti le quote rosa o le pari opportunità, (come dir si voglia), se tra le donne sorgono conflittualità, se si concepisce la guerra per eliminare l’altro, se non riconosciamo chi siamo e se soprattutto, non si cambia il modo di pensare dell’umano? In altre parole, era indispensabile questo film, affinché gli italiani avviassero una riflessione collettiva? Quanti maltrattamenti le donne dovranno ancora subire? Sembra doveroso partire dal rispetto per la persona e per la vita, educare la mente – costa fatica – ad ascoltare, a imparare a comunicare, alla gentilezza, alla gratitudine. È bellissimo il messaggio educativo di Vito Mancuso: «educhiamoci alla gioia». Il rancore, la rabbia, le invidie, la noia, la ricerca continua della trasgressione, non sono altro che segni evidenti di vuoto, di annientamento, di maschilismo. Cambierà la considerazione sulle donne se insieme cambiamo direzione, se il timone verrà preso non da chi urla, sgomita, scalcia, ma da guide sagge. La cultura è assente. Il rispetto delle regole, la giustizia, l’esercizio delle virtù. Il più delle volte, fa audience il macabro, la spettacolarizzazione dell’evento, il frastuono dell’immagine narrata dai media nei dettagli senza alcun pudore verso chi ascolta: può essere un bambino, senza chiedersi cosa si voglia trasmettere. Già. Dove sono i messaggi educativi? Eh sì, la scuola, sì, la famiglia, sì. Il linguaggio è fondamentale. Esprime chi siamo, parafrasando Heidegger, il linguaggio è la nostra casa: ma quanto può risultare scomoda la nostra «casa» se le parole trasmettono violenza, negatività, aggressione.

È urgente cambiare tendenza. È essenziale investire sulla cultura, sull’istruzione, la formazione; comprendere che la storia cambia, non si può restare intrappolati in questa tragedia culturale. Occorre una «rivoluzione culturale». Un cambio repentino di rotta se la meta consiste nel preservare l’umano, tutelare l’umanità in un mondo del quale si è ospiti e che si sta distruggendo. La parola chiave del secondo millennio hi-tech che discute di intelligenza artificiale è annichilimento. Questo pare si stia seminando. La paura dell’altro: la donna, il povero, l’emigrato, il nero, il bianco, il bambino, l’umano, si riesce sempre a trovare un capro espiatorio. Vi chiedo: è così bello vivere in un ambiente in siffatta maniera? Nessuno ama la felicità? Sentirsi felici, trasmettere sorrisi. Perché no? Sembra di vivere in un Paese indispettito, corrucciato, pronto a ghignare, dominato dall’ignoranza, dalla non conoscenza di sé e dell’altro, dai vizi. Dal caos delle insicurezze e delle indifferenze. Se ci fosse Dante ci condurrebbe all’Inferno a godere delle nostre malefatte e a consumarci nell’odio. La luce della beatitudine è lontana. La liberazione da un «io ipertrofico» altrettanto.

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