Dalle magliette rosse di Panatta e Bertolucci all’azzurro profondo sulle spalle di Sinner e Arnaldi. Quarantasette anni ad aspettare per mettere le mani su quella sorta di istituzione del tennis dal nome «Davis». Da Santiago del Cile a Malaga, quant’acqua sotto i ponti di un’Italia che ha dovuto fare i conti con l’illusione di talenti promettenti e crisi generazionali abbastanza profonde. «Adrianone» nazionale capace di trionfare sulla terra di Roma e Parigi e oggi questo Jannik che promette di prendere a pallate tutto il mondo. Siamo di nuovo sul tetto e stavolta la sensazione è che non si tratti di una meteora. Un po’ come quello che seppero fare i mitici moschettieri capitanati da Pietrangeli (anche Barazzurri e Zugarelli nel «motore») a cavallo tra gli anni ‘70 e ‘80.
L’Italia s’è fermata grazie al fenomeno Sinner. Il tennis che si diverte a scalzare il calcio dalle prime pagine dei quotidiani sportivi. Un picco di popolarità che rischia di trasformarsi in vera e propria mania. E, quindi, succede che anche la Davis torni a far parlare dopo anni complicati, tra formula discutibile e calendari impazziti. Torna a casa, vero. E la goduria è enorme. Ma in quel lontano 1976 le emozioni avevano altri colori. Nessuna voglia di paragoni, sarebbe un’autentica follia. Però oggi parliamo di una cosa diversa. È tutto più ovattato. Meno sentimento, soprattutto. Prima la Davis era un privilegio, oggi quasi un fastidio.
Però vincere non è mai un dettaglio. Specie quando di mezzo c’è l’azzurro. L’Italia che alza la voce a livello mondiale (Sinner, Berrettini, Musetti, Sonego e ora anche Arnaldi) è una carezza al cuore. Ed è bello immaginare che sia il lieto fine di un percorso virtuoso. Siamo la squadra più forte del mondo e c’è un ragazzone di nome Jannik che si appresta a diventare il più forte di tutti. Sinner veste i panni del trascinatore, una sorta di uomo immagine che promette altri slanci. Per se stesso e per chiunque ami il tennis. Un popolo impazzito nell’applaudirne le gesta alle Finals. E ora cresce, inesorabile, la fame di Slam.
La Davis, già. Evoca dolci ricordi, emozioni mai sopite. Quel 1976 rimarrà comunque nel cuore degli italiani con la racchetta. Irripetibile. Però oggi è un’altro giorno. E stare lassù ha ugualmente un profumo inebriante. Viva l’Italia del tennis. Anzi, chapeau ragazzi.