Un’altra Giulia, ma se fosse Francesca o Monica cambierebbe solo il nome. Lui, invece, è sempre lo stesso.
Ed ora giù fiumi d’inchiostro per descriverlo “l’ex fidanzato”, “il giovane ragazzo”, “il ragazzo di Giulia”, senza considerare che anche i termini usati fanno la loro parte nel far percepire alla collettività l’evento accaduto senza una reale consapevolezza del suo significato, né la corretta percezione della gravità del fenomeno.
Eppure, esiste un Manifesto di Venezia che quegli stessi che scrivono gli articoli, dovrebbero ben conoscere. Eppure, ad ogni femminicidio la terminologia, e quel che ne scaturisce, segue sempre il medesimo copione.
Come pure, sempre le stesse sono le proposte e le idee che ne derivano a risoluzione del problema, dall’inasprimento delle pene, alla possibilità di rieducare l’uomo violento perché anche lui ha un’anima da ricondurre a ragione, fino ad arrivare alle soluzioni più disparate che, però, restano lontane anni luce dal vero problema e dalla soluzione più efficace.
Nessuno di noi ha la sfera di cristallo, neppure gli specialisti del campo, dagli psichiatri ai criminologi, ma basterebbe un po' di buon senso come genitori, prima, come istituzione scolastica, poi. Insieme, però.
È innegabile che un bambino per i primi tre anni di vita si forma in famiglia per poi inserirsi nel mondo della scuola da cui esce maggiorenne.
In questo arco di vita – di certo, non piccolo – la possibilità di imparare anche altro, oltre a parlare, mangiare, camminare, leggere e far di conto, c’è.
Eppure, nessuno si preoccupa di fornire ai ragazzi i primi rudimenti di quella che con estrema semplicità è definita educazione sessuale, quella stessa che in numerosissimi paesi europei è un insegnamento obbligatorio. Francamente riterrei più corretto il termine di educazione sentimentale per la maggiore capacità di comprendere aspetti che altrimenti resterebbero fuori dai rapporti tra i due generi, ma quand’anche fosse limitato alla sola sfera sessuale per il nostro Paese già sarebbe un traguardo perché insegnerebbe ai maschi che non con la forza fisica – indubbiamente superiore a quella femminile – si ama l’altro sesso. Ma nulla di tutto questo.
Abbiamo programmi ministeriali vecchi quanto il cucco per le materie storiche, figurarsi una previsione di questa. Soltanto proposte che abortiscono al loro ingresso nelle aule parlamentari dove lasciano il posto a litigi da stadio tra le varie forze politiche, come se insegnare ad un ragazzo che esiste modo e maniera per approcciarsi ad una ragazza alla quale è intestato un diritto sacrosanto di scegliere se accettare o meno le sue avances fosse un fatto politico e non di rispetto delle persone. Eppure, sono una cinquantina di anni che la pratica abortiva delle proposte procede tranquillamente il suo percorso.
Correvano, infatti, gli anni ’70 – più o meno quelli delle importanti e serie conquiste sociali dal divorzio, all’aborto che per quanto non universalmente condivise, bisogna riconoscere che sono una conquista di civiltà giuridica non foss’altro perché forniscono un servizio di cui chi ha necessità può usufruire, lasciando assolutamente indenni gli oppositori non essendo un obbligo né divorziare, né abortire – quando una prima proposta del genere in materia fu presentata ed alla quale seguirono oltre ad una decina di disegni di legge, neppure a dirlo, tutti miseramente abortiti. Facile dire che in Svezia è diventata una materia curricolare già dal lontano 1955.
Ma a ben vedere, molti sono i Paesi europei che si sono allineati partendo da Germania, Francia, Regno Unito, fino ad arrivare, lo scorso anno, in Spagna. E questo semplicemente perché esiste la Guida tecnica internazionale dell’educazione sessuale dell’UNESCO e gli Standard per l’educazione sessuale in Europa dell’OMS che prevedono, oltre agli aspetti più scontati e basilari della contraccezione e della prevenzione delle malattie trasmissibili per via sessuale, anche aspetti sociali, psicologici ed affettivi connessi alla sessualità che se insegnati sin dalla giovane, rectius tenera, età evitano il verificarsi di vere e proprie tragedie ben più gravi di un figlio non laureato o che sbaglia l’ausiliare essere o avere davanti al verbo più o meno irregolare della lingua italiana.
UNESCO che ricordiamo è organizzazione delle Nazioni Unite, di cui l’Italia si fregia di appartenere sin dall’anno successivo alla sua istituzione nel lontano 1946 per promuovere accanto a Scienza e Cultura, “l’Educazione in modo che ogni bambina, bambino, ragazzo o ragazza, abbia accesso ad un’istruzione di qualità come diritto fondamentale e come requisito essenziale per lo sviluppo della personalità”.
Non meno importante la sua Agenzia che si occupa dall’anno 1948, di questioni sanitarie il cui obiettivo, secondo la sua Costituzione è “il raggiungimento, da parte di tutte le popolazioni, del più alto livello possibile di salute", definita come “uno stato di totale benessere fisico, mentale e sociale” e non semplicemente “assenza di malattie o infermità”.
Da noi, invece, nulla di obbligatorio è previsto accanto a storia, matematica e italiano, ma soltanto una riconosciuta autonomia alle singole scuole ad introdurre – non già la materia perché questo sarebbe competenza del Dicastero, il quale alcuna linea guida ha ritenuto finora di emanare – ma qualche ora destinata alla materia.
Il tutto con buona pace della crescita degli adolescenti – che ancor prima sono bambini ai quali sarebbe più facile parlare dell’argomento facendolo diventare assolutamente familiare, proprio come 2+2 che fa 4 – che si abbeverano, anziché ai testi scientifici e/o alla sapienza degli adulti, al sacro calice di internet per argomenti, che a quell’età avrebbero già dovuto metabolizzare con intelligenza e semplicità per essere strumenti di quotidiano utilizzo, come contraccezione, malattie sessualmente trasmissibili, orientamento sessuale e ruoli di genere, ma soprattutto affettività.
A stupire, in primis, l’atteggiamento delle famiglie che non affrontano l’argomento neppure di passaggio, atteso i numeri delle statistiche che ci riportano al paleolitico superiore per indicare in 1 su 2 il numero dei giovani che non affronta questi temi in famiglia e nell’80% il totale degli adolescenti che si accultura in materia su internet.
Il che porta a non saper gestire le proprie emozioni come dimostrano anche altre sfere quali il rapporto con gli adulti in genere e con gli insegnanti in particolare, ma anche quelle che tanto tempo fa si definivano scazzottamenti fuori della scuola che, per quanto deplorevoli, rientravano pur sempre in un rapporto fisiologico alla Franti del Libro Cuore, non già alle dinamiche contemporanee.
E quel che maggiormente stupisce è che gli adolescenti di oggi, sono figli della generazione che ha lucrato i benefici del ’68 che ha avuto come vessillo quello della libertà sessuale che ha sdoganato usi e costumi del settore.
Come anche gli uomini che commettono femminicidi che per quanto non tutti figli del post-sessantotto, ormai avrebbero avuto tutta l’opportunità ed il tempo di capire che questi usi e costumi sono cambiati, tanto da non giustificare più un mancato adeguamento per lucrare, in sede giudiziaria, giustificazioni ed attenuazioni di pena del tutto immotivati, ma che i giudici devono necessariamente applicare perché previsti dalla normativa, necessariamente generica ed universale per ogni ipotesi di evento.
E siccome spes ultima dea, vogliamo essere fiduciosi che il minuto di silenzio per Giulia indetto per martedì in tutte le scuole voglia essere, invece, un minuto parlato in cui si cominceranno a piantare i semi di un’educazione relazionale, affinché il Filippo della situazione esca dalla scuola con il diploma in una mano ed il rispetto della persona che gli ha opposto un rifiuto a cominciare/interrompere una relazione amorosa, nell’altra.
Questi due ragazzi, infatti, avevano lasciato la scuola da una manciata di anni e se fossero stati educati anche alle relazioni sentimentali/sessuali/di genere, sarebbero ancora vivi e vegeti, almeno Giulia.
Vista l’infruttuosità dei richiami da anni effettuati dalle due Organizzazione mondiali, speriamo che riesca nell’intento la Paola Cortellesi molto osannata in questo periodo per il meritorio faro che ha acceso con il suo film su una problematica di non poco momento, che esprimendosi sull’ennesimo gravissimo fatto di cronaca ha chiosato “mi piacerebbe che Giorgia Meloni ed Elly Schlein istituissero un tavolo comune permanente, per elaborare proposte congiunte. Io ne ho una: introdurre l’educazione affettiva come materia scolastica. Da subito”.
E l’invito che la Cortellesi ha ricevuto dalla Presidente del Consiglio a Palazzo Chigi per il suo film, ci fa ben sperare questa volta.